La scuola dei disoccupati

Una spaventosa allucinazione lucida
Ultimo post del mese, ed è di nuovo una recensione.
Novembre è andato un po' così, ho avuto davvero tanto da fare, rimedierò con dicembre, promesso.
Tornando a noi, chiudiamo il mese con una recensione di un libricino sintetico e deprimente, dello scrittore tedesco e professore universitario Joachim Zelter.
Si tratta di un romanzo distopico, ma nemmeno tanto: parla sì di una società futura, ma talmente vicina che basta allungare una mano per toccarla.
Nel non troppo lontano 2016, in Germania è stata istituita una scuola speciale, la Sphericon. Chi vi si iscrive passa tre mesi in divisa nera, isolato dal mondo, sottoposto a ore interminabili di studio, palestra e attività formative. L'indirizzo specialistico della scuola? Insegnare a trovare lavoro.
Gli studenti di Sphericon infatti sono tutti disoccupati cronici. Verrà loro insegnato ad ottenere un posto di lavoro con le unghie e con i denti, truccando i curriculum, approfittando dei necrologi nei giornali, demolendo la propria personalità promettendo loro un "nuovo inizio".
Perché il lavoro non è più un diritto, ma un privilegio. E i privilegi si conquistano.
Tra le pagine di questo libro si respira un'atmosfera grigia, deprimente, statica, ma al contempo in costante movimento. Veniamo tuffati in un lager moderno con regole ferree, ma dove non esistono prigionieri: sono tutti consenzienti e viene detto loro che possono andarsene quando preferiscono. Ma nessuno lo fa, nessuno si azzarda nemmeno a provarci.

Lo stile di scrittura è semplice e scarno così some il linguaggio usato all'interno di Sphericon. Frase brevi e concise ci accompagneranno per tutta la lettura. Non c'è spazio per nessun tipo di fronzolo, ad eccezione delle brevi boccate d'aia che ci verranno concesse durante i monologhi interiori della protagonista Karla (che più che protagonista è solo una studentessa sulla quale ci soffermeremo un po' di più).
Parlando di personaggi, non ce ne sono molti, e possiamo raggrupparli in due categorie: il personale di Sphericon e gli studenti.
La prima categoria comprende personaggi tutti uguali: brillanti, dal carattere forte, estroversi, entusiasti della vita. Che sia davvero il loro carattere o sia solo una posa necessaria al loro lavoro non ci è dato saperlo.
Dall'altra parte ci sono gli studenti, i disoccupati: tristi, grigi, deboli, senza prospettive di vita.
Il libro divide chiaramente quello che è accettabile da quello che non lo è: tutto è bianco o nero, non esistono vie di mezzo. L'unico modo per non appartenere alla categoria dei disoccupati (il gradino più basso della società, status non accettabile), è avere un lavoro.
E per avere un lavoro, gli studenti sono spronati a ricostruire se stessi. Ma non attraverso un vero e proprio lavoro sulla propria personalità, sul trovare nuovi interessi o sviluppare conoscenze, bensì reinventando la propria vita. E la vita, nell'ambito lavorativo, sta tutta nel curriculum.
Quindi, via ad inventare, rielaborare, modificare eventi e date per rendere la vita del disoccupato più impressionante ed interessante possibile. Non è necessario che si sia davvero scalato il monte Everest, si sia stati dei professionisti di rugby, c si sia laureati in astrofisica. Basta scriverlo. Un curriculum non deve essere vero, deve essere coerente.
L'individuo viene plasmato sulle menzogne, diventa un attore pronto a impersonare il ruolo che gli è stato dato.
Per uscire dalla disoccupazione bisogna avere faccia tosta, sorriso smagliante, bella presenza, non personalità o un percorso di studi qualificante.
Durante la lettura, attraverseremo un triste (e purtroppo vero, vista la realtà che ci circonda), processo di spersonalizzazione dell'individuo, all'insegna del "non conta chi sei, ma come appari". Purtroppo perfettamente calzante alla situazione lavorativa attuale.
Assisteremo ai personaggi che si impegnano alacremente lungo il loro percorso di uniformazione per essere idonei ad un posto di lavoro. Come già detto, sono tutte persone depresse, senza forza di volontà: ci viene spiegato che la disoccupazione è uno stato mentale, che nasce dall'incapacità di adattamento e di risolutezza del diretto interessato.
A parer mio, non è un'affermazione sbagliata, o almeno non del tutto.Ma l'unica soluzione proposta in questo caso è l'uniformazione totale. Il timido, il debole, l'insicuro, tutti loro non sono accettabili.
In mezzo a tutti gli altri studenti la protagonista sembra l'unica a rifiutare totalmente di applicare quanto le viene insegnato. Ma poiché come già detto nel libro non ci sono mezze misure, anche lei non fa eccezione. Arriva a Sphricon chiusa, quasi incapace di parlare per via della timidezza, con un blocco psicologico totale. Blocco che aumenta quando le viene detto che se vuole diventare parte integrante della società deve gettare tutte le sua aspirazioni, i suoi sogni, la sua vita passata e diventare una persona nuova.
Lei non compie nessun passo avanti. Non sa nemmeno lei bene il perché: non vuole. Non risponde alle domande, balbetta in modo sconclusionato, sa cosa è meglio per lei. O forse no.
Questo non fa di lei un'eroina, ma solo un personaggio irritante. Non riesce a compiere una vera e propria ribellione, è solo in grado di crogiolarsi nel suo brodo insipido senza combinare niente. Perché ha paura, perché è troppo difficile, perché non vuole. E' più facile stare zitti, restare disoccupati, non cambiare niente di sè stessi.

Come già detto, si tratta di un libro di contrasti. E' deprimente vedere i "nuovi metodi" per il recupero dei disoccupati, ma non si riesce ad essere totalmente in disaccordo. Queste persone vengono prese, viene loro data una disciplina, si insegna loro un nuovo modo di vivere e di considerare sè stessi. Ma in questo modo si fa loro il lavaggio del cervello, rendendoli solo in apparenza persone autonome; in realtà continueranno a vivere come gusci vuoti, ripetendo per tutta la vita gli schemi che sono loro stati insegnati, senza mai coltivare un interesse vero. O comunque, anche se lo coltivassero, se non fosse qualificato come utile ai fini del curriculum, sarebbe considerato una perdita di tempo.
Sebbene l'autore sia tedesco e parli della realtà in Germania in un ipotetico futuro, non sembra così distante e diverso da quello che sta succedendo qui in Italia, dopotutto.
Non è un libro che mi ha trasmesso grandi emozioni, è una lettura asciutta, sintetica, con poco spazio per i sentimenti. Ma è un libretto che fa pensare.
Confonde le idee, arrivando a convincerci che il metodo di recupero proposto sia davvero la cosa migliore, ci fa di nuovo cambiare idea facendoci arrivare alla conclusione che i sistemi utilizzati sono estremi, poi ci fa pensare che la protagonista in fondo se lo merita e che non le può fare altro che bene, per poi farci ricredere ancora.
E' un piccolo test personale che vi consiglio di provare, se ne avete l'occasione, e se avete voglia di restare con una sensazione amara in fondo alla bocca.