Maria Bonita

Ammettiamolo: questo logo fa venire i brividi
 Qualche settimana fa ho portato la mia ragazza, strettamente carnivora, ad un ristorante brasiliano che non avevo mai provato prima: il Maria Bonita, a Dolo.
il tempo non era dei migliori, quindi ho optato per qualcosa di vicino a casa. Avevamo tentato di andarci anche altre volte, trovandolo sempre strapieno.
Il posto ha aperto pochi anni fa, da quel che ne so, e va fortissimo come meta di cene aziendali.
E se un locale è sempre strapieno in teoria è anche buono, giusto?

Il locale è un po' imbucato, e se non si sa dove guardare è difficile trovarlo, complice il fatto che, per arrivarci, bisogna infilarsi prima in un sottoportico, entrare in una piccola anticamera e salire una rampa di scale.
Solo allora arriviamo al locale vero e proprio. Gli ambienti sono ampi e le luci relativamente basse (ma non tanto come quelle che potremmo trovare in un pub), creando un'atmosfera accogliente e rilassata. L'arredamento non è sgargiante, così come i colori. Sulle pareti troviamo dipinti palme, pappagalli e compagnia bella, che comunque non saltano subito all'occhio, tenendo il tutto su una linea un po' più sobria. Non è il classico brasiliano festaiolo insomma, e sposta il target, che di solito per questo tipo di locali è intorno ai 20/25 anni, su una fascia un po' più adulta.
Tendenza che si riscontra anche nella cucina, che mescola piatti brasiliani alla tradizione italiana: insomma, una cosa un po' studiata per attirare una clientela che non si spinge più in là dell'osteria di Bepi, invogliandola a provare qualcosa di diverso mantenendo comunque una rassicurante sensazione familiare. Non aspettatevi nulla di esotico, insomma.

Il buffet comprende un numero discreto di antipasti, tutti abbastanza semplici, che come già detto mescolano la cucina brasiliana a quella italiana. Nel complesso sono piatti molto semplici, ma preparati dignitosamente. Troveremo banane fritte (fritte bene senza risultare unte), pasticcio di carne bianca, fagiolata brasiliana da consumare con riso bianco, verdure grigliate e altro ancora. Squisiti i bocconcini di pane al formaggio e l'insalata di carote, mais, maionese e uvetta, scarsi invece i cuori di palma (a livello qualitativo).
C'è da dire che, vista la capienza del locale, il buffet è piccolino: se capitate in una serata di pienone dovrete prima fare la fila e comunque verrà tutto spazzolato via in un attimo.
Il piatto forte, come in qualsiasi brasiliano, sono le carni. Dopo gli antipasti inizieranno a passare i camerieri con gli spiedi (o "spade"), proponendo otto tipi diversi di carne. Le porzioni sono piccole, ma ci è stato chiesto più volte se gradivamo il bis, non siamo di certo andati via con la fame.
A livello qualitativo invece sono rimasto deluso. Mi aspettavo più portate di carne pregiata come manzo e vitello, che invece sono relegati agli ultimi posti. Sarà la crisi? Mah. Ci viene proposto soprattutto maiale, ben cotto per carità, ma nulla di speciale, e la qualità stessa della carne lascia un po' a desiderare, l'ho trovata piuttosto grassa. Ottima l'ultima portata di carne di manzo al sangue, ma è l'unica degna di nota.
Come dessert ci verrà portato ananas caramellato cotto allo spiedo, che mi è davvero piaciuto, e il dolce della casa.
Nel complesso insomma un menù discreto, ma che ha la grossa pecca di deludere per quanto riguarda la carne. E, diciamocelo, uno va al brasiliano per mangiare quella.
Sul fronte bevande il locale non offre molto, vini, qualche birra, bevande analcoliche, come una trattoria o pizzeria nella media. C'è la possibilità di ordinare qualche cocktail tipico brasiliano o comunque a tema, come caipirinha e mojito.
Se dal punto di vista del cibo il posto è così così, il personale invece è gentilissimo e disponibile. Ci è stato spesso chiesto se volevamo un bis, ci sono stati illustrati i vari piatti e le diverse preparazioni, siamo stati seguiti durante tutta la serata.
Il sabato sera il locale offre uno spettacolino di capoeira e di samba, che mi dicono non essere nulla di speciale. Per il resto la musica diffusa è in tema, ritmi latino/americani ad un volume basso e assolutamente non fastidioso.

Come nella maggior parte dei brasiliani, il prezzo a persona per il buffet e la carne è fisso, in questo caso 25€. Nella media, contando che si mangia abbondantemente.

Nel finesettimana, come ho già detto, è sempre strapieno, ed è d'obbligo prenotare per trovare posto. Giovedì e venerdì invece il posto langue un po' e ci si può passare una serata tranquilla. Per quel che mi riguarda sconsiglio vivamente di andarci in serate di pienone, ho sentito parecchia gente lamentarsi del fatto che il buffet sparisce a vista d'occhio e che è più difficile fare il bis di carni.
Nel complesso il locale è discreto, ma sotto la media dei ristoranti brasiliani ai quali sono stato finora. Il Brasile si sente poco, le carni sono passabili ma lungi dall'essere ai livelli qualitativi ai quali altri ristoranti di questo tipo mi hanno abituato.
Va bene per una serata in compagnia, se siete di poche pretese e avete qualche euro in più da spendere....ma la vera cucina brasiliana è un'altra storia.

Maria Bonita

Apertura: da giovedì a domenica
Orario: 19.00-2.30
Indirizzo: Via Giuseppe Mazzini 90, 30031 Dolo (VE)
Telefono: 041 2431645 / 340 1894714

Factotum

Lavori precari in un libro totalmente statico
 Tempo fa mia zia mi si è presentata con in mano un libro,dicendomi "Leggilo e sappimi dire cosa ne pensi.Me lo hanno regalato, ma ti giuro, è terribile".
Ora, mia zia è quanto di più lontano da una persona moralista e bigotta, e a parer mio ha dei buoni gusti letterari. Quindi inutile dire che dicendomi così mi aveva incuriosito non poco.

Factotum è un libro del filone "on the road", con un protagonista in perenne movimento e una narrazione fatta di piccoli episodi quotidiani. Genere che a me piace molto.
Pubblicato nel 1975 è l'opera che ha consacrato lo scrittore americano Charles Bukowski al pubblico internazionale ed è a tutti gli effetti un romanzo semi-autobiografico, nel quale vediamo un personaggio fittizio che altri non è che l'alter-ego dell'autore.
L'ho letto in appena due giorni, e ho parecchio da dire circa questo titolo, nel bene e nel male.
Henry Chinaski è un giovane americano che, dopo essere stato rifiutato per l'arruolamento nell'esercito, alla vita chiede solo quel tanto che basta per tirare avanti. Vivacchia di una miriade di lavoretti trovati spostandosi in continuazione nei vastissimi USA. Siamo ormai verso al fine della Seconda Guerra Mondiale e di lavori manuali ce ne sono in abbondanza, basta saperli trovare.
Eppure Henry non riesce a mantenerne nemmeno uno, in una vita segnata dal continuo, irrefrenabile bisogno di spostarsi in un'altra città, di trovare un lavoro diverso, di fuggire da qualsiasi legame.
Lo stile è asciutto e scorrevole, con pochi dettagli: questo contribuisce a rendere il romanzo scorrevole e leggero, si legge in un paio di giorni (se avete un po' di tempo, riuscirete a finirlo in un giorno solo). Non annoia di sicuro, intrattiene, e nonostante le descrizioni scarne si crea un'atmosfera ben definita, nella fattispecie decadente e malsana.
Ciò che definisce gli ambienti, il ritmo, l'atmosfera è il protagonista Henry. Protagonista che ho trovato insopportabile. Non so se l'autore (di cui Henry è l'alter ego) volesse cercare di  creare un antieroe, di descrivere un ribelle, un anticonformista o semplicemente di ritrarre il soggetto medio dei bassifondi americani (intento che è invece chiarissimo ad esempio nei libri di Irvine Welsh).
Se voleva solo amareggiare il lettore mettendogli in faccia una triste realtà, bè, niente da ridire.
Henry è uno spiantato senza nessuno scopo nella vita. Non ha nessun tipo di ambizione, non ha passatempi, non c'è niente che lo appassiona. L'unico fedele compagno è il vizio del bere. Non è un ribelle e non cerca nulla, vuole solo avere due soldi in tasca per comprarsi la dose quotidiana di alcol.
La cosa che più mi infastidisce di lui è che non è quel tipo di personaggio anticonformista che rifiuta di lavorare per seguire un proprio stile di vita, convinto di poter vivere a modo suo. Henry non cerca di costruirsi proprio niente, sa bene che deve lavorare per campare, ma al contempo è troppo pigro per mantenersi un posto di lavoro. Sa che il lavoro è importante ma si rifiuta di ammetterlo a sè stesso.
Di volta in volta lo vedremo farsi licenziare per motivi più o meno stupidi, che ci faranno venir voglia di prenderlo a sberle. Della serie: vuoi poltrire sul lavoro? Fallo con un minimo di furbizia.
Tra i lavori che cambia, incontra datori stronzi e datori magnanimi. credete che gliene importi qualcosa? No, a lui non importa di come viene trattato e non porta rispetto a nessuno, nemmeno a chi lo tratta dignitosamente. E' questa fondamentale mancanza di rispetto che me lo rende odioso. Ad esempio, se gli concedono di prendersi una pausa ogni volta che non c'è lavoro per andare a bersi un caffè, dopo pochi giorni lui è in pianta stabile al bar a sbronzarsi. Rispetto zero, e soprattutto zero furbizia.
Di tanto in tanto trova una donna poco schizzinosa e riesce a intingere il biscotto, ma le scene di sesso sono credibili quanto in un porno. Ora, non so come andassero all'epoca le cose in America, ma l'idea che mi entri una sconosciuta in casa e, di prepotenza, mi faccia un pompino mi sembra giusto un pelo inverosimile.
La prima volta che poi entrano in scena i genitori del protagonista, fanno la parte delle persone crudeli e insensibili (soprattutto il padre di Henry). Ad un primo sguardo ci verrebbe da bollarli come perfetti stronzi. Quando conosceremo meglio Henry ci troveremo a dar loro ragione.
La compagna di Chinaski infine è esattamente come lui: spiantata, approfittatrice, infedele, alcolizzata, senza arte né parte.
Le ambientazioni sono descritte in pochissime righe, senza spenderci troppe parole. Del resto non avrebbe senso andare a descrivere dettagliatamente degli ambienti che dopo poche pagine verranno abbandonati. E in fin dei conti, per il protagonista, sono ambienti tutti uguali: semplicemente posti di lavoro. Che siano popolati da persone odiose o affabili, che siano al chiuso o all'aperto, sempre quello sono: posti di lavoro. E come tali, poco piacevoli a prescindere.
E anche qui, ogni tanto, trovandoci a leggere di un posto di lavoro sopportabile ci viene da sputare in faccia al protagonista e chiedergli:che cazzo ti passa per la testa?!
Alcuni affermano che questi frammenti vanno a completare un quadro della realtà americana dei bassifondi: lavori diversi ma che sotto sotto sono tutti uguali. Secondo me non è assolutamente vero. Non sono i lavori e gli ambienti ad essere tutti uguali, è il protagonista che li vede come tali. E l'autore agisce di conseguenza: il lavoro per Henry non è importante, i luoghi dove lavora non sono importanti, non vale la pena descriverli. come già detto, non avrebbe senso.

di solito i romanzi "on the road" portano il protagonista -o i protagonisti- ad una crescita interiore, oppure la causano nel lettore, portandolo a comprendere la mentalità dei personaggi. In questo caso no. Il libro è breve, più un racconto lungo che un romanzo, poco più di centocinquanta pagine.
Ma credetemi, per i contenuti non sarebbe cambiato nulla nemmeno se fossero state duecento, trecento o tremila.
Henry infatti non cambia di una virgola. Non impara nulla, non si pente, non trova uno scopo, non crea legami. E non sarebbe neanche male, se lo scopo del libro fosse proporre uno stile di vita alternativo. Come già detto questo genere di romanzi spesso fanno cambiare noi, arrivando magari a farci pensare "ma tu guarda, questo vive completamente fuori dagli schemi, in mezzo alla miseria, ma è libero e più felice del borghese medio".
Non è questo il caso. Il protagonista non è felice, ma nemmeno si compiange. Non ha uno scopo ma non vuole nemmeno cercarne uno.
O meglio, lui scrive racconti brevi, che invia ad una prestigiosa rivista americana, e gli vengono sempre, puntualmente, rifiutati. Ad un certo punto uno viene accettato. "Bene!" pensa il lettore, "finalmente la sua vita cambierà, troverà uno spunto per fare qualcosa della sua esistenza!". E invece no. Anzi, i racconti non si nominano nemmeno più. Forse Chinaski è talmente legato al suo modo di vivere privo di senso che anche la sola prospettiva di poterlo cambiare lo spaventa. Perché è si privo di senso, ma anche di qualsiasi responsabilità.
E per questo personaggio totalmente irresponsabile, incapace di farsi carico anche solo della propria vita, che vive alla giornata, provare a cambiare è troppo faticoso. Non sta bene, è infelice, ma cambiare è difficile. La mentalità di un bambino di cinque anni.
C'è chi sostiene che non sia del tutto infelice. Non vedo come uno che passa il proprio tempo a tirare avanti a fatica e mediti il suicidio possa esser contento. Perché si, Henry ad ammazzarsi ci pensa. Ma, indovinate un po'? Suicidarsi è tropo complicato e faticoso, per compiere un gesto del genere dovrebbe uscire dalla fanghiglia apatica nella quale si crogiola.

Forse se fosse stato un racconto di una cinquantina di pagine avrebbe funzionato meglio. Perché questo libro non ha un inizio e non ha una fine. Non c'è un percorso. Non c'è una morale. Non c'è un intento. A cosa serve? ...boh?
Solo a vedere un pezzetto della vita di un uomo inutile e fastidioso? Henry ride della società, tratta i colleghi con sufficienza anche se spesso cordialmente, reputandoli spesso stupidi. Stupidi perché incatenati al lavoro? E si può considerare forse libero, lui, schiavo del bisogno continuo di bere e comunque sempre dipendente da una società dalla quale torna immancabilmente per procurarsi qualche dollaro? Più che un eroe, sembra un parassita.
Paradossalmente è un romanzo "on the road" nel quale regna l'immobilità più assoluta.
Può essere realistico, ma ci sono cose che funzionano nella realtà ma non sulla carta. Ne parlavo con la mia migliore amica e lei mi ha citato un personaggio di King che dice "Ho letto un articolo di giornale che parlava di un cane che dopo essersi smarrito è tornato dalla famiglia dopo dieci anni. Se proponessi una storia del genere al mio editore me la stroncherebbe immediatamente".
Perché? Pensateci un po'.

L'edizione che mi hanno prestato è l'ultima edita da TEA, datata 2012, che ci propone un tascabile economico (€ 8,00) e leggero ma sufficientemente robusto per essere ficcato in borsa.

Nonostante tutto non vi sconsiglio di leggerlo nella maniera più assoluta. Potete farlo se volete un ritratto dell'uomo più irresponsabile del mondo (anche se sono convinto che ce ne siano tanti come lui ma pensare che la totalità del proletariato americano fosse così mi sembra assurdo). E sono convinto che sia scritto bene, con un ritmo perfetto e uno stile graffiante. Ma se siete in cerca di lavoro, in questo periodo di crisi, vi verrà voglia di buttarlo fuori dalla finestra.

Trivial Pursuit Casinò

Avete voglia di sentirvi stupidi e ignoranti?
 Oggi inauguro una nuova categoria, come se nel blog non ci fosse già abbastanza misto mare, ovvero l'etichetta "giochi". Parlerò di giochi da tavolo, di società e di carte; insomma tutti quei modi per passare un pomeriggio che non sia davanti alla tv o al computer in modo più o meno intelligente.

Cominciamo con un classico, il Trivial Pursuit.
Questo gioco è stato inventato dal canadese Chris Haney nel 1980, e lanciato sul mercato nel 1983. Si discosta da molti altri giochi da tavolo, in quanto si basa sulla cultura generale dei giocatori.
Vanta parecchie edizioni differenti: io vi parlerò, oltre che di quella base, dell'edizione "casinò", che mi sono accaparrato poco più di un mesetto fa e che, seppur mantenendo le regole dell'originale, aggiunge qualche piccola novità.

Innanzi tutto, cos'è Trivial Pursuit?
Si tratta di un gioco da tavolo da due a sei giocatori: se siete di più si gioca a squadre. Il tabellone propone un percorso circolare senza un inizio e un traguardo.
Lo scopo del gioco è infatti di rispondere correttamente a una domanda per ognuna delle sei categorie richieste (geografia, storia, spettacolo, arte e letteratura, natura e scienza, sport e tempo libero).
Ogni categoria è contrassegnata da un colore, e quando rispondiamo correttamente otterremo uno spicchio colorato da aggiungere al nostro segnalino; una volta riempito dovremo rispondere ad un domandone finale.
Le domande le troviamo scritte su apposite carte, ognuna delle quali ha un argomento generale e una domanda per categoria. Ad esempio, l'argomento può essere "pugilato", e ci sono sei domande inerenti ad esso, una di storia, una di geografia, eccetera.
Al contrario del Trivial Pursuit classico, nel quale si pesca una carta a caso, in questa edizione all'inizio del gioco si pescano quattro carte da inserire in un'apposita busta, la quale lascia scoperti gli argomenti: il giocatore ha modo di scegliere quello nel quale si sente più ferrato. Ogni volta che si risponde ad una domanda, la carta viene sostituita con un'altra sempre pescata a caso.
Durante il gioco ci possiamo muovere liberamente sul percorso circolare del tabellone, lanciando un dado, e il colore della casella sulla quale ci fermiamo determinerà la categoria della domanda alla quale dovremo rispondere.
La domanda finale verrà invece scelta dagli altri giocatori, tra gli argomenti disponibili. Potranno rendervi la vita parecchio difficile.
Questa versione introduce l'uso di gettoni da scommettere sull'esito di una domanda, ovvero se l'interessato risponderà correttamente o no.  Con le fiches accumulate sarà possibile comprarsi spicchi mancanti e decidere la categoria o l'argomento.
Unico disappunto dell'edizione è la mancanza di un vero e proprio libretto di istruzioni, sostituito da uno svolazzante e supereconomico foglio che è fin troppo facile perdere. Ho capito che le regole sono poche, ma potevano sforzarsi di più.

In questo gioco l'elemento fortuna di sicuro conta, ma c'è bisogno anche di un pizzico di strategia. Parte del divertimento sta anche nel capire che tipo di domanda potrebbe nascondersi dietro ad un argomento. Di fronte alle scelte disponibili, insomma, chiedetevi che quesito potreste trovarvi a rispondere, perché, come già detto, ogni argomento comprende tutte e sei le categorie del gioco. Con un minimo di furbizia si evita di complicarsi ulteriormente la vita.
Di carte ce ne sono davvero un sacco, ma prima o poi ne capiterà una della quale voi o un altro giocatore vi ricorderete delle domande. Qui il gioco di basa un po' anche sull'onestà e sulla fiducia reciproci: se nessuno fa lo stronzo ci si diverte tutti di più.

L'edizione "casinò" aggiunge giusto un paio di regole in più, ma personalmente trovo più divertente il gioco classico (e potete usare benissimo questa edizione nel modo classico, se vi pare). La durata di una partita varia dalla mezz'oretta all'ora e mezza, a seconda di quanti giocatori partecipano e di quanto siete capre (e se siete capre quanto me, le partite durano un sacco).
E' un gioco da tavolo più impegnativo di un classico Monopoli, ma più semplice e immediato del Risiko, che a me piace da morire: le regole sono poche e semplici, questo lo rende appetibile soprattutto a quelli che non hanno voglia di leggersi un manuale intero prima di iniziare la partita, e così intuitive che si possono imparar direttamente giocando.
Se vi capita di trovarlo in giro, fateci un pensierino. L'edizione "casinò" è una buona scelta, a parer mio: non c'è un tema principale e le domande sono estremamente varie, si spazia dal latino a Harry Potter e dai motori ai videogiochi. Oltretutto, potete scegliere di giocare con le fiches o senza, rendendolo in un attimo identico al Trivial Pursuit classico.

Pasta frolla

Altro che cuoricini, lei vi odia con tutta sè stessa
 Cos'è quell'impasto magico perfetto per fare i biscotti e le crostate, con una ricetta semplicissima ma dall'animo malefico?
E' la pasta frolla.
Versatile e velocissima da preparare, questo impasto nasconde un lato insidioso: se non è preparato ad arte risulta pesante e unto, oppure si secca durante la cottura prendendo la consistenza del granito, mentre dovrebbe essere compatto al tocco e friabile in bocca.
Mi è capitato diverse volte, negli anni, di infornare dei biscotti e al momento dell'assaggio di spaccarmici i denti. Perché la pasta frolla è malvagia. E vi odia.
Ma se sapete prenderla per il verso giusto, potete almeno cercare di fregarla.
Ci sono moltissime varianti di questa semplice ricetta, e ognuna è indicata per determinate preparazioni. Potete attenervi ad una ricetta base oppure creare la vostra frolla ideale, tenendo in conto le seguenti considerazioni sugli ingredienti.

Burro
Più burro metterete, più grasso e saporito verrà l'impasto. Io consiglio di non superare mai la proporzione in grammi: burro = 1/2 farina. Insomma, se avete 300 grammi di farina, usate al massimo 150 grammi di burro.
Più di così lo trovo pesante, e rende la preparazione più difficile, in quanto il burro deve rimanere sempre il più freddo possibile e dovendone lavorare grosse quantità è facile che si scaldi troppo. Il risultato è che dopo la cottura otterrete una frolla unta da far schifo.

Uova
C'è chi usa le uova intere, chi usa solo i tuorli. Fate qualche esperimento: l'uovo intero dà una frolla più friabile e leggera, adatta alla preparazione di biscotti, mentre il tuorlo dà una frolla cicciona e compatta, migliore per le crostate (fa in modo che le fette non si rompano).

Zucchero
A seconda della preparazione, potete scegliere di usare un tipo di zucchero diverso. Con quello semolato andate sempre sul sicuro, però potete provare a sostituirlo. Con lo zucchero extrafino o quello a velo si ottiene una frolla più delicata e friabile, mentre usando quello di canna darete un leggero aroma di caramello alla frolla, e l'impasto verrà più ruvido e rustico.

Aromi
L'aggiunta di un aroma all'impasto è essenziale, per eliminare l'odore delle uova. La ricetta classica prevede la scorza di limone grattugiata (possibilmente da agricoltura biologica per evitare i pesticidi, che se ingeriti sono poco simpatici), ma potete sostituirla con una fiala di aroma di limone, vaniglia o arancia, oppure utilizzando lo zucchero a velo vanigliato al posto di quello semolato.

Detto questo, la ricetta con la quale mi trovo meglio è la seguente e ci si fa abbastanza impasto per una crostata o per due teglie di biscotti (poi dipende da quanto spessa la stendete ovviamente).
Procuratevi:
  • 300 grammi di farina
  • 150 grammi di zucchero semolato
  • 150 grammi di burro
  • 1 uovo intero e due tuorli
  • Scorza di mezzo limone grattugiata
  • Sale
La preparazione è semplicissima. Versate la farina su un piano preferibilmente in acciaio o marmo (che restano più freddi). Facendo la "fontana", versateci al centro lo zucchero un pizzico di sale e la scorza di limone.
Tirate fuori solo ora il burro dal frigo, tagliatelo a cubetti piccoli e mettetelo sulla farina.
Ora, lavorando solo con la punta delle dita (sempre per evitare di scaldare l'impasto), lavorate il più velocemente possibile, "pizzicando" il burro assieme agli altri ingredienti, fino ad ottenere delle briciole.
Aggiungete l'uovo e i tuorli, continuando a lavorare molto in fretta e sempre con la punta delle dita.
Non appena sarà della giusta consistenza, formate una palla con l'impasto, avvolgetelo nella pellicola trasparente e mettetelo in frigo per minimo una mezz'ora prima di utilizzarlo.
Tutto qui. Il segreto per una buona frolla, lo ripeto, è mantenere tutto molto freddo.
Per ottenere i risultati migliori, seguite questi accorgimenti:
-lavorate l'impasto su un piano di marmo o metallo
-non usate mai i palmi delle mani per lavorarlo, solo le punte delle dita
-prima della lavorazione immergete le mani in acqua fredda (e ovviamente poi asciugatele bene)
-usate burro freddo da frigo
-lavoratelo più velocemente e il meno possibile
-per stendere la pasta usate un mattarello di marmo o, in alternativa, una bottiglia di vetro riempita di acqua fredda. Esistono in commercio mattarelli cavi da riempire con acqua o cubetti di ghiaccio, oppure di materiali adatti per essere messi in freezer
-dopo aver steso la frolla nello stampo o dopo aver sagomato i biscotti, mettete il tutto in frigo per un quarto d'ora prima di infornare

Ci vogliono un po' di pratica e di mano per ottenere dei buoni risultati, ma poi potrete sbizzarrirvi con biscotti, crostate e dolcetti vari di tutte le forme e dimensioni. Buona fortuna.

Meravigliosa

Terrà fede al suo nome?
 Se non fosse stato che me l'hanno regalata, ammetto che questa crema viso non l'avrei mai potuta recensire. E' decisamente fuori dalla mia portata a livello di prezzo.
Ma ho avuto un pizzico di fortuna e posso raccontarvi qualcosa su quella che Lush definisce come uno dei suoi prodotti top (non per vendite ma per qualità): Meravigliosa, una crema ricchissima di oli naturali ricavati tramite spremitura a freddo.
Ho letto pareri completamente contrastanti, in giro per il web. Alcuni dicono che è favolosa, altri che non vale un centesimo.
Prima di recensirla, l'ho usata per un mesetto buono, aspettando di vedere i risultati, e ora sono qui per dirvi la mia.

Lush ci dice:
Non vorremmo sembrare presuntuosi, ma secondo noi questa è la crema che avrebbe scelto Audrey Hepburn, solo che all’epoca Lush non c’era. La sua texture meravigliosa si assorbe quasi come un siero e va bene per tutti i tipi di pelle. È il risultato di una bilanciata ricetta a base di oli spremuti a freddo, ricchi di antiossidanti, e succosa frutta biologica piena di vitamine. Ne basta una punta per una pelle luminosa e vellutata come la seta.
Come sempre, partiamo dal profumo. Ecco, il profumo per me è un problema. Per il mio naso sa di detersivo più che di fiori d'arancio (la usa anche mia madre e l'ha ribattezzata "la magica crema sidol").
Per fortuna, se ne usate una quantità modesta, evapora davvero in fretta.
E' una crema molto leggera, dalla consistenza fine e abbastanza liquida,più che cremosa, per via dell'alto contenuto di oli e ingredienti naturali spremuti a crudo. Questo la rende anche un prodotto delicato, che consiglio di tenere in frigo più che in bagno, ambiente di norma caldo e umido. Vista la composizione oltretutto, io evito di pucciarci dentro le dita per evitare che ci finiscano più batteri del dovuto, e la prelevo con un cucchiaino (chiamatemi pignolo, ma per queste cose sono un po' rompipalle).
Io ho una pelle mista, con zone grasse (e qualche brufoletto ora finalmente sotto controllo) e altre che tendono invece a seccarsi, come gli zigomi, quindi non sapevo davvero che aspettarmi.
E lo so che sarebbe una crema per pelli mature, ma credetemi, sulla fronte ho già un bel po' di rughe e pure belle profonde. Quando inarco le sopracciglia sembro un Klingon.
Gli effetti di questa crema ci sono, ma sono graduali e saranno più le persone che vi circondano a notarli, piuttosto che voi.
Dopo una decina di giorni, la pelle è visibilmente più morbida e liscia. Le zone lucide pian piano spariscono, e il colorito si uniforma sorprendentemente. Avrete una pelle più chiara e dalla grana più sottile, più luminosa, quasi ringiovanita.
E per quanto riguarda le rughe... non scompaiono, ma si attenuano, decisamente.
Oltretutto, io ho delle zone sul collo con delle macchie rosse (fottuta psoriasi). Se tenete questa crema in frigo, dà una mano anche per quello: le macchie tuttora non sono scomparse del tutto, ma sono quasi invisibili.
Posso capire perfettamente il disappunto di un sacco di persone che si sono lamentate dl fatto che questa crema non ha nessun tipo di effetto. Come già detto, non si vedono subito. E Meravigliosa non crea una rivoluzione totale, semplicemente va a ritoccare tanti piccoli difetti che presi uno ad uno sono insignificanti, ma nell'insieme regalano, se non una faccia nuova, una faccia di sicuro più gradevole. Non vi renderà la pelle incredibilmente più luminosa, perfettamente liscia, stupendamente uniforme. Ma sarà un po' più luminosa, un po' più liscia, un po' più uniforme... nell'insieme una pelle più giovane che dà la sensazione di una persona curate a pulita.
Sono anche del parere che gli effetti dipendano molto dall'età della pelle e dai prodotti ai quali è abituata. Se fino ad ora avete fatto solo uso di prodotti con un INCI pessimo, prevalentemente chimici e di scarsa qualità, la vostra pelle non reagirà all'azione delicata di questa crema, dovete prima disintossicarvi da tutte le schifezze che avete usato fino ad ora prima di vedere qualche risultato (vi consiglio di cominciare con altri prodotti naturali usare Meravigliosa su una pelle condizionata da prodotti chimici sarebbe uno spreco).

Come già detto, consiglio di tenerla in frigo per conservarla meglio, soprattutto se avete couperose o psoriasi, per avere un maggiore effetto lenitivo. E consiglio anche di centellinarla: contiene fin troppi oli, se la spalmate con la cazzuola vi resterà la pelle unta (a meno che non sia proprio secchissima). Per la mia faccia una punta di cucchiaino basta e avanza.
Io la uso come crema notte, per via dell'odore che non sopporto, ma se usata di giorno, soprattutto in questo periodo di temperature più rigide, ha una discreta azione protettiva contro il freddo. Massaggiate con delicatezza, non esagerate e vedrete che si assorbirà in un istante, lasciando per qualche minuto una sensazione ancora un po' unta (di nuovo, colpa degli oli), che sparisce entro qualche minuto. Dalla regia mi dicono che va bene anche per le signorine che sopra si vogliono truccare, fondotinta in polvere e cipria attaccano bene e reggono a lungo.

Un prodotto così leggero si adatta a quasi tutti i tipi di pelle, ad eccezione forse di quelle estremamente grasse. Se avete delle zone del viso leggermente irritate (irritate, non arrossate), brucerà un pochino, ma danni non ne fa.
Il tasto dolente però è il prezzo. E' uno dei prodotti Lush più costosi in assoluto.  Ora, io sono un fan della Lush, ma devo dire che, sinceramente, gli effetti sono davvero buoni ma a parer mio non giustificano un prezzo del genere.
Quindi, promossa? Umh, ni. Per le mie tasche è fuori portata, ci sono ottime creme che danno gli stessi effetti in commercio, ad un prezzo decisamente inferiore.
Però per mantenere le promesse, le mantiene, solo ci vuole un po' di pazienza per vedere gli effetti. Ed evitatela se cercate una crema per un problema specifico, come già detto questa va a limare tanti piccoli dettagli ma non corregge nulla di fondo.

C'è anche da dire che se magari non tutti considerino questa crema una meraviglia, l'INCI lo è di sicuro. Tantissimi ingredienti freschi e naturali, ai quali seguono gli ovvi conservanti e allergeni per rendere il prodotto adatto a tutti (ormai dovreste saperlo, un sacco di roba naturale diversa si traduce in diversi allergeni). Ma nel complesso, non c'è che dire, ottimo.

Cosa ci trovate dentro, esattamente:
Acqua di Miele di Fiori d'Arancio (Citrus aurantium dulcis, Mel, Aqua) - doppio verde
Olio Extra Vergine di Oliva Biologico (Olea europaea) - doppio verde
Stearic Acid - doppio verde
Olio di Enotera Biologico e Spremuto a Freddo (Oenothera biennis) - doppio verde
Olio di Avocado Biologico e Spremuto a Freddo (Persea gratissima) - doppio verde
Glicerina Vegetale (Glycerine) - doppio verde
Olio Extra Vergine di Cocco (Cocos nucifera) - doppio verde
Succo Fresco di Limone Biologico (Citrus limonum) - verde*
Olio di Germe di Grano Spremuto a Freddo (Triticum vulgare) - doppio verde
Succo Fresco di Arancia Biologica (Citrus aurantium dulcis) - verde
Olio di Semi d'Uva Spremuto a Freddo (Vitis vinifera) - doppio verde
Succo Fresco d'Ananas (Ananas sativus) - doppio verde
Essenza Assoluta di Fiori d'Arancio (Citrus aurantium dulcis) - doppio verde
Olio Essenziale di Neroli (Citrus aurantium amara) - doppio verde
Resina di Mirra (Commiphora myrrha) - doppio verde

Triethanolamine - rosso
Cetearyl Alcohol - doppio verde
Geraniol - giallo
Farnesol - doppio verde
Limonene - giallo
Linalool - giallo

Hydroxycitronellal - rosso
Profumo (Parfum)
Methylparaben - verde
Propylparaben - rosso

*rosso per pelli esposte al sole


Quanto vi costa
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Il collare

Il collare giusto è fondamentale per una passeggiata serena
Vi ho già parlato dei guinzagli, oggi vediamo i collari.
Il dibattito se usare il collare o la pettorina è un classico, tra gli addestratori e gli educatori. E' vero che la pettorina è meno costrittiva, quando il cane tira, e non c'è modo di fargli alcun male, ed è altamente consigliata per cani con problemi respiratori. E' anche vero che durante le sessioni di addestramento spesso il cane risponde più prontamente con un collare. Inoltre, la pettorina è più invadente a livello fisico, ci sono esemplari che non la sopportano proprio, e accettano più facilmente il collare.
Ma delle pettorine vi parlerò la prossima volta.
Il collare è uno degli strumenti base per il controllo del nostro amico a quattro zampe, e deve essere scelto con cura, valutando bene il modello migliore per rendere la passeggiata un momento sereno e positivo. Durante la passeggiata infatti si forma buona parte del legame tra cane e conducente: renderla sgradevole o dolorosa contribuirà ad abbassare il rispetto e la fiducia del nostro compagno nei nostri confronti.
In commercio se ne trovano di tutti i colori, forme, dimensioni e materiali, perfino catarifrangenti per le passeggiate di sera o di notte. Vi dico già che il collare più semplice e leggero è, meglio è: evitate pendagli, fronzoli, fiocchetti. Al cane non gliene frega niente, anzi, spesso lo distraggono, rendendogli più difficile concentrarsi su di noi ed esplorare l'ambiente circostante.

Innanzi tutto, come usare il collare?
Cominciamo con il dire che il collare dovrebbe essere indossato solo per la passeggiata. Questo aiuterà il nostro cane a capire che quando ha addosso quell'oggetto, gli si richiede un certo comportamento. E' difficile per loro capire che se hanno il collare in giardino possono correre liberamente, mentre se lo hanno per strada devono starci vicino (con il risultato che diventa più lungo e laborioso insegnargli a non tirare al guinzaglio).
In questo modo oltretutto il collare viene associato ad un momento di interazione con noi, cosa sempre gradita, e acquista valore. Anche per questo motivo il cane non deve essere mai, e dico mai, minacciato o colpito con il collare.
Allo stesso tempo, però, deve essere un oggetto rispettato: non lasciate che il cane lo morda o lo rosicchi, gli insegnerete a rispettare gli oggetti in generale e sarà più facile per lui capir che si può fare i denti solo su determinate cose adibite a tale utilizzo.
Per abituare il cucciolo a questo oggetto, fateglielo indossare per pochi minuti e in concomitanza di eventi piacevoli, come il gioco o il pasto. Se cerca di toglierselo con insistenza o piagnucola non sgridatelo (assocerebbe collare=evento sgradevole), ma non toglieteglielo nemmeno, o imparerà che facendo i capricci quell'oggetto così scomodo gli verrà levato di dosso.
Piuttosto, distraetelo offrendogli un'attività alternativa, e toglietelo solo quando sarà tranquillo. Non arrabbiatevi, cercando di restare sereni e allegri, comunicandogli che non c'è niente che non va.
Il collare ha un effetto psicologico anche su di noi. Più uno strumento ci infonde sicurezza, più saremo rilassati in passeggiata, trasmettendo anche al nostro compagno peloso un'energia assertiva e inducendolo ad uno stato mentale più calmo.

Vediamo ora i vari tipi di collare, ognuno con i suoi pro e i suoi contro.



1. Collare fisso
Al contrario di quanto pensa la maggior parte della gente, il collare fisso è lo strumento ideale per lavorare con cani non ancora educati al guinzaglio (cuccioli compresi), per rieducare i soggetti con una condotta scorretta (che tirano tanto da strozzarsi o staccarvi le braccia) o per cani che tendono a "scattare" all'improvviso.
Non stringendosi attorno al collo del cane, evita di procurargli una sensazione di intrappolamento e disagio che potrebbero istigarlo a tirare con maggiore energia, o di rendere la passeggiata un momento spiacevole e traumatico.
Ci sono tantissimi tipi di collare fisso, di ogni colore e materiale (1a). Quelli in nylon e stoffa sono più morbidi, mentre quelli in cuoio, grazie ai bordi stondati, spesso rovinano meno il pelo. Ci sono sia a sezione circolare che piatta: quelli a sezione circolare sono più scomodi, in quanto l'area di pressione, nel caso il cane tiri è più ridotta e crea così una maggiore sensazione di soffocamento, mentre quelli piatti sono più confortevoli. Più "alto" è il collare, ovvero maggiore è la larghezza del cuoio o del tessuto,minore è la pressione esercitata sulla gola del cane (ovviamente scegliendo comunque una dimensione adatta alla stazza del nostro amico, collari troppo "alti" impediscono i movimenti della testa).
Per cani che tirano molto sono presenti in commercio collari imbottiti con cuscinetti in gel, per ammortizzare ulteriormente la pressione. Per cani in crescita sono disponibili anche collari fissi regolabili (1b). Infine ci sono modelli, ancora poco popolari in Italia, con una vera e propria maniglia, per controllare meglio in caso di emergenza cani di taglia media e grande (1c).
Assicuratevi che il collare non sia troppo largo (il vostro amico potrebbe sfilarselo), nè troppo stretto: una vola assicurato, dovete essere in grado di passarci comodamente sotto due dita.


  
2. Collare a semistrangolo
E' una buona opzione per cani già in grado di stare al guinzaglio, ma che hanno bisogno di qualche sporadica correzione. E' di solito costituito da una parte in doppia maglia fissa, le cui estremità sono collegate da una catena scorrevole (2a), ma sono disponibili anche modelli in stoffa o nylon (2b). Questo gli conferisce una discreta altezza che non comprime la gola e rende impossibile che si stringa troppo. Se non siete degli esperti e avete bisogno, come già detto, di poche e secche correzioni, è uno strumento valido: vi darà la sensazione di un maggiore controllo ma non potrete fare danni al vostro compagno peloso.
Agganciando il moschettone del guinzaglio a uno dei passanti è possibile utilizzarlo anche come collare fisso.
Scegliete bene la misura: dovete poterlo infilare facilmente, ma non deve essere troppo largo, o rischia di sfilarsi con estrema facilità.

3. Collare a semistrangolo regolabile
A metà tra il collare a semistrangolo e quello correttivo, si tratta di un collare a strangolo in pelle o nylon, con una fibbia regolabile che permette di decidere fino a che punto si stringerà in caso di correzioni o strattoni.
In generale è uno strumento che mi piace poco, visto che è reperibile quasi solo con sezione rotonda, il che lo rende fastidioso per il cane: esercita una notevole pressione sulla gola in caso iniziasse a tirare.



4. Collare correttivo (o a strangolo)
Questo collare, normalmente in catena, lo consiglio solo a persone esperte, da utilizzare esclusivamente durante le sessioni di addestramento.
Esiste a maglia piatta (4a) o ad anelli (4b): il primo modello è preferibile, in quanto scorre meglio, riducendo a zero le possibilità che le maglie si incastrino mentre stringono, cosa possibile invece con quello ad anelli.
I soggetti con i quali si può utilizzare sono quelli che hanno già una condotta quasi perfetta e hanno bisogno solo di rarissime correzioni, effettuate dando un colpetto deciso al guinzaglio: il collare si stringerà solo un attimo, riportando l'attenzione del cane sul conducente.
Al contrario di quanto si possa pensare, su soggetti che hanno tendenza a tirare questo tipo di collare ci dà l'effetto contrario a quello desiderato: il cane si sente soffocare e tira ancora di più per liberarsi della costrizione.
Inutile dire che in casi estremi può provocare lesioni gravi e in cani soggetti a scatti improvvisi può arrivare a danneggiare gli organi interni o le vertebre del collo.
Si potrebbe dire: si, ma in posti affollati devo poter controllare il mio cane. Va bene,ma questo collare, come già detto, si presta all'utilizzo solo su esemplari equilibrati. E se il vostro cane non è equilibrato non lo portate in luoghi affollati, fine della storia.
Insomma, lasciate questo collare agli addestratori e agli educatori, potete far danni.



5. Collare a semistrangolo con punte
Illegale in Italia, questo collare può seriamente ferire il cane, soprattutto se è soggetto a scatti improvvisi o tira parecchio. In alcuni modelli le punte sono rivestite in gomma o silicone, più spesso sono scoperte e possono lacerare la pelle e arrivare anche a ledere gli organi interni.

6. Collare elettrico

Ce ne sono di due tipi: quello che trasmette impulsi a ultrasuoni e quello che effettivamente rilascia una scossa di elettricità (quest'ultimo è illegale). Viene controllato a telecomando o sensore di abbaio/prossimità, punendo il cane fisicamente per un comportamento scorretto (abbaio, avvicinarsi ad una zona proibita).
E' uno strumento controproducente e altamente dannoso, che può creare ansia, aggressività e altri squilibri comportamentali.

7. Collare antiabbaio

Si tratta di collari con un sensore che, all'abbaiare del cane, rilasciano uno spruzzo di acqua (o spesso di liquido spiacevole/irritante) diretto al naso del nostro amico.
Se ariate a dover usare sistemi del genere, avete perso.
Il collare antiabbaio spesso spaventa il cane, il quale impara ad ubbidire per paura o per fastidio, non certo per rispetto. Oltretutto il collare viene collegato ad un sintomo spiacevole, rendendo il comportamento in passeggiata più difficile (complice anche il fatto che il collare antiabbaio viene tenuto a lungo, tornate a vedere quello che ho già detto per quanto riguarda l'utilizzo del collare in generale); non ci vorrà molto inoltre perché il cane capisca che senza collare può abbaiare quanto vuole.
L'abbaiare eccessivo è sintomo di qualche squilibrio caratteriale o problema comportamentale, che va corretto alla radice. E' come avere una parete piena di muffa, e invece di raschiarla via e trattare il muro con prodotti appositi, darci semplicemente una mano di pittura sopra. La muffa non si vede più, ma resta, e prima o poi verrà fuori di nuovo.
Insomma, sconsigliatissimo e controproducente.

Questi ultimi tre collari sono abominevoli e degni di un uomo delle caverne. Sono tutti metodi che "insegnano" un comportamento al cane tramite fastidio, dolore o paura. Un cane che obbedisce per questi motivi invece che per rispetto e spirito collaborativo non è mai sotto controllo, nè rilassato.
A seguito dell'utilizzo di questi strumenti possono insorgere problemi comportamentali o aggressività rediretta. L'animale, spaventato, come primo impulso ha quello di difendersi, ma non avendo un bersaglio sul quale dirigere l'attacco si ritorce contro la prima cosa che riesce a mordere (spesso il braccio del conducente). Il quale, se ha usato certi metodi, se lo merita pure. Ma dopo è il cane che viene bollato come "animale pericoloso" e deve subirne le conseguenze.
Evitate, evitate, evitate a tutti i costi.

Se siete alle prime armi io consiglio sempre, parlando di collari, un semplice collare fisso o un semistrangolo in nylon, successivamente, se proprio non vi sentite sicuri.
Buona passeggiata!

Urbock 23

Un piccolo gioiello made in Austria
 Era davvero tanto che non recensivo una birra, semplicemente perché non trovavo candidati meritevoli di recensione.
Oggi invece ho avuto modo di portarmi a casa una birra che compare raramente sui nostri scaffali. Ma la bottiglia scura e la semplice ed elegante etichetta nera e dorata rendono la Urbock 23° riconoscibile a colpo d'occhio.
Prodotta in Austria, questa birra doppelbock riposa per nove mesi nelle cantine del castello di Eggenberg (attivo dal lontano 1100) prima di essere messa in commercio, ed è prodotta seguendo l'antichissima norma di purezza Reinheitsgebot, risalente al 1516.
Al contrario delle bock e delle doppelbock (birre lager monastiche tedesche dalla gradazione alcolica particolarmente alta) tradizionali, che sono scure, la Urbock è una birra ambrata, considerata da molti un prodotto da intenditori.
E' conosciuta anche come il "cognac delle birre", per la sua gradazione  il sapore particolare, che la rendono a tratti simile più ad un liquore che ad una birra.
E' nota per essere la più forte birra austriaca in produzione, e tra le birre più alcoliche in commercio. Attenzione però, quel "23" del nome non si riferisce alla gradazione alcolica, bensì a quella saccarometrica (ovvero ai grammi di zuccheri contenuti in 100 centimetri cubi di mosto prima della fermentazione). Ma il tenore alcolico della Urbock sa comunque il fatto suo: 9,6%.

Una volta versata, possibilmente in un calice da birra trappista, la Urbock si presenta con un colore ambrato e carico, con sfumature rossastre. Se versata correttamente produce una buona quantità di schiuma fine e di media persistenza, altrimenti la schiuma sarà quasi assente e scomparirà quasi immediatamente.
Le numerose bollicine che salgono dal fondo e che restano attaccate alle pareti del bicchiere preannunciano il suo carattere frizzante.

Questa birra ha un profumo intenso e penetrante di malto, al quale seguono note decise e dolci di frutta fermentata, con un tocco di caramello. Il tenore alcolico si fa sentire anche a naso ma nell'insieme dell'odore pieno e piacevole non dà fastidio: nel complesso si preannuncia come saporita e decisa.

Al primo sorso si sente immediatamente  una frizzantezza vivace e gradevole, non troppo invadente, che viene subito spazzata via da un sapore accentuato e dolce, fortemente fruttato, che ricorda la prugna e maschera il tenore alcolico.
In seconda battuta si ha la sensazione di una birra cremosa (nel gusto, non nella consistenza), mentre alla frutta si mescola un sapore dolciastro di malto e caramello e comincia ad intervenire un sapore leggermene amarognolo.
Solo in chiusura si fa sentire il luppolo ed emerge un gusto amaro, legnoso, che ripulisce il palato dal marcato impatto dolce iniziale. Al contempo si fa sentire il tenore alcolico non indifferente, una svolta inaspettata per un prodotto tanto amabile. Ma non è un gusto alcolico prepotente, resta comunque in secondo piano, consentendoci di assaporare il gusto mutevole di questa birra senza anestetizzarci le papille gustative.
Alla chiusura segue un retrogusto incredibilmente secco, con forti note di luppolo e un sentore erbaceo che nulla ha a che vedere con il gusto fruttato che ci siamo ritrovati in bocca pochi secondi prima.
Insomma, è una birra che apre con un gusto dolce e cremoso ma lascia in bocca un sapore amaro e asciutto.

Nel complesso è una birra che si discosta dalle doppelbock tradizionali per via dell'intenso sentore amaro finale, e la sua degustazione è di sicuro interessante proprio per il contrasto dolce/amaro che offre ad ogni sorsata. Per via del suo carattere deciso e del gusto particolarmente forte e pieno è facile stomacarsi: se volete passare una serata in compagnia a bere un litro di birra a testa rivolgetevi ad altro. Questo prodotto secondo me dà il suo meglio proprio nella degustazione di un bicchiere, spingersi oltre ci porterebbe a trovarla pesante.
Per gustarla al meglio consiglio di berla fredda (anche per smorzare il sapore dolce che altrimenti sarebbe troppo stucchevole), ma non ghiacciata. Vale infatti la pena di godersene tutte le sfumature, una temperatura troppo bassa ne ucciderebbe gli aromi e rovinerebbe il passaggio graduale e ben bilanciato tra il sapore iniziale e il retrogusto così diversi tra loro. Servitela intorno ai 10°C e non ve ne pentirete.
Ve la sconsiglio sia che siate amanti delle birre troppo amare che di quelle dolci: se appartenete alla prima categoria le note iniziali vi faranno storcere il naso stomacandovi dopo un paio di sorsi, al contrario se preferite le birre particolarmente dolci o delicate non sopporterete il retrogusto fortemente amaro.

E' un'ottima birra da meditazione o da aperitivo, da gustarsi un sorsetto alla volta, ma può essere consumata anche durante i pasti, abbinata a cibi dal sapore deciso o piccante, come carni rosse, formaggi stagionati e piatti con abbondanti salse (un ottimo esempio è il goulash ungherese o austriaco).
Il suo lato dolce secondo me la rendono inadatta agli abbinamenti con la selvaggina e a piatti con salsa di pomodoro, mentre il sapore forte non si sposa bene con il pesce e le verdure (fatta eccezione per quelle con un sapore molto deciso, come ad esempio il radicchio ai ferri).
Allo stesso modo la sconsiglio con i dolci, a meno che non contengano mostarda che, così piccante e gustosa, si sposa bene con questa birra.

Se volete provare qualcosa con un carattere forte e una struttura complessa, date una possibilità a questo prodotto. Oltretutto, siamo nella stagione perfetta per gustarcelo: con il freddo che fa, la Urbock 23 vi scalderà per bene, garantito.

Musaic Box

Un giochino in cui ci vuole soprattutto orecchio
 Un po' di tempo fa mi sono imbattuto in un gioco online davvero strano, prodotto dalla Kranx Production, la prima casa produttrice di videogiochi indipendente russa.
Musaic Box rientra nella categoria degli HoG, acronimo di "Hidden Objects Games", quei giochi nei quali l'azione principale è di cercare oggetti nascosti nello scenario. Sono parenti stretti delle avvenure grafiche, dei punta e clicca tradizionali e degli "Escape Room Games", ovvero quelli in cui bisogna fuggire da una stanza o un ambiente ristretto sfruttando i pochi oggetti a disposizione.
Ma questo ha decisamente una marcia in più.
Ci troviamo nella casa di nostro nonno, appassionato di musica, che ci ha lasciato un carillon molto particolare e ci sfida a trovare, ricomporre e suonare degli spartiti di brani classici e popolari disseminati nelle stanze della casa.
L'incipit è semplicissimo e ci troveremo immediatamente trasportati all'interno di un'abitazione ricolma di strumenti musicali e figure inerenti alla storia della musica.
Ed è proprio la musica a farla da padrona in questo gioco. A partire dalle musiche d'ambiente, quelle che avremo costantemente in sottofondo (e si, avrete bisogno dell'audio per completare questo gioco).
Le musiche d'ambiente sono molto ben fatte, leggerissime e semplici. Fanno quello che devono fare: creano un'atmosfera rilassata e vagamente sospesa, l'ideale per concentrarsi nella ricerca degli spartiti.
E a proposito degli spartiti, dovete armarvi di tanta pazienza. Il gioco è estremamente pignolo, e le aree cliccabili sono davvero ristrette. E' quasi impossibile andare avanti nel gioco cliccando a caso, insomma, anche se a tratti può risultare frustrante. Non ci sono indizi o aiuti, ma di tanto in tanto determinate parti di scenario brilleranno per qualche secondo, indicandoci che in quella zona si nasconde qualcosa. Questo aiuta ma non semplifica troppo le cose: potrebbe stare anche a significare che quel determinato oggetto fa parte di un puzzle da risolvere. In ogni caso lo scintillio dura per pochi secondi ed è molto discreto, se siamo concentrati nei dettagli dello scenario potremmo benissimo non vederlo, visto che se osservato con la coda dell'occhio può sembrare del semplice pulviscolo.
Le ambientazioni sono estremamente curate in ogni minimo dettaglio, ma sono esenti dall'effetto i sterile asetticità del quale risentono moltissimi punta e clicca in circolazione. Gli ambienti sono caldi, ricchi di particolari e spesso per trovare gli spartiti dovremo risolvere dei puzzle non sempre così immediati. In altre occasioni, dovremo intuire un possibile nascondiglio, perché i dettagli sono così minuti che non sarà possibile vedere gli spartiti, o riconoscerli come tali. Il box di dialogo alla sommità dello schermo ci sarà spesso d'aiuto. Anche il fatto che gli spartiti trovati resteranno presenti nello scenario (non li raccoglieremo, bensì li copieremo in un diario personale), contribuirà a disorientarci.


Quello che rende questo HoG diverso dagli altri, è la modalità di gioco principale. Trovare e ricomporre gli spartiti è infatti solo il preludio al gioco vero e proprio.
Quando ne avremo completato uno, infatti, dovemmo riuscire a suonarlo ricomponendone la giusta sequenza musicale.
Il tutorial non è chiarissimo, e ci vuole un po' di pratica prima di capire perfettamente come funziona il carillon.
Avremo spesso (ma non sempre) la possibilità di ascoltare il brano intero, ma ci verrà fatto sentire solo lo strumento principale. A questo punto starà a noi capire quale colore gli corrisponde, ricostruendo man mano il brano a orecchio e incastrano i vari tasselli in modo che un colore non si ripeta nella stessa colonna. Allo stesso colore infatti corrisponde il medesimo strumento, e gli strumenti di una colonna suonano contemporaneamente: ne deriva che avere due tasselli dello stesso colore nella stessa colonna richiederebbero ad uno strumento di suonare due cose contemporaneamente, cosa impossibile a farsi.
La cura in questi puzzle è perfetta. Man mano che procederete nel gioco, imparerete a leggere i segni stessi dei tasselli, che rappresentano l'andamento dello strumento. Un segno verso l'alto rappresenta quasi sempre un crescendo, una linea ondulata un passo allegro, una linea spezzata un ritmo saltellante.
Se amate la musica e avete un po' di orecchio, questo gioco fa per voi. Io ne sono stato totalmente catturato e non sono riuscito a staccarmi finché non l'ho finito.
La difficoltà dei brani è crescente, così come i puzzle proposti, creando un aumento di difficoltà graduale che ci propone sempre nuove sfide. Alcuni brani dovranno essere ricomposti solo geometricamente, per altri, costituiti da sequenze dal suono molto simile tra loro, richiederanno numerosi ascolti e tanta pazienza.
Ricomporre correttamente gli spartiti sbloccherà di volta in volta nuove melodie e nuove stanze da esplorare, permettendoci di continuare questa inusuale avventura.

Un gioco davvero originale. Purtroppo online è disponibile solo una versione limitata, per il gioco completo dovrete sborsare qualche soldino.
Ma se siete alla ricerca di qualcosa di diverso, realizzato egregiamente e che vi terrà comunque impegnati per un po', la demo gratuita basta e avanza.
In ogni caso, accendete le casse e correte a provarlo.

Lo Hobbit - Un viaggio inaspettato

Tornare bambini per qualche ora non può far male
Finalmente sono riuscito ad andare a vedere anche io Lo Hobbit. Era ora.
Non sapevo esattamente cosa aspettarmi da questo film. Il libro per me ha un fortissimo valore nostalgico, mio padre me lo ha letto qualche pagina alla volta quando avevo cinque o sei anni, prima di mettermi a dormire. Anni dopo l'ho ripreso in mano e riletto, e ha avuto su di me lo stesso effetto.
Sono un Tolkeniano sfegatato, e ho amato la trilogia di film del Signore Degli Anelli (anche se la completezza del libro è stata impossibile da ricostruire su pellicola), ed ero impaziente di vedere Lo Hobbit. Ma, conoscendomi, sapevo già che o l'avrei amato o mi avrebbe fatto schifo. Cercherò di parlarvene in modo sintetico, anche se arei ben di più da dire, ma vorrei evitare post chilometrici.
La regia di questo film datato 2012, affidata in via definitiva a Peter Jackson, era inizialmente nelle mani di Guillermo Del Toro, regista ad esempio de "Il Labirinto del Fauno" (film che io adoro). Nonostante l'idea che fosse Del Toro a metter mano alla regia mi incuriosisse non poco, memore delle atmosfere inquietanti e grottesche ma al contempo fiabesche che è in grado di creare, sono felice che sia stato scelto Jackson. In questo modo, a parer mio, è stato possibile creare un legame stilistico molto più marcato tra questo film e Il Signore Degli Anelli.
Ma ora bando alle ciance e vediamo la trama, che cercherò di rendere più semplice possibile, risparmiandovi troppi Pdor figli di Khmer.
Bilbo è un hobbit che da giovane aveva sempre dimostrato uno spiccato interesse per l'avventura, ma che ormai è abituato a vivere tra gli agi della sua casa scavata nel fianco della collina.
Un giorno tuttavia, si presenta alla sua soglia uno stregone a lui quasi sconosciuto, Gandalf, che sta cercando il quattordicesimo membro per una compagnia imbarcatasi in un'impresa quasi disperata: riconquistare la città nanica scavata sotto al monte di Erebor, dalla quale il popolo è stato scacciato decenni prima da un drago, attirato nella città dalle enormi quantità di oro lì custodite e che tutt'ora vi dimora.
Dopo l'iniziale titubanza, Bilbo accetta ed entra a far parte della compagnia, capeggiata da Thorin, il legittimo erede al trono di Erebor. E' l'inizio di un lungo viaggio tra montagne, foreste, grotte e valli.
Un viaggio tutt'altro che privo di pericoli.
Nonostante ne sia il prequel, Lo Hobbit è una cosa totalmente diversa dal Signore Degli Anelli. Ambientato sessant'anni prima, ci racconta di come Bilbo trovò l'Anello (il titolo completo del libro è infatti "Lo Hobbit  - o la rinconquista del Tesoro", inteso sia come Anello sia come tesoro custodito al drago Smaug), e ci aiuta a capire meglio la storia della Terra di Mezzo, compresa l'origine della faida tra il popolo degli elfi e quello dei nani.
Bilbo è un protagonista molto diverso da Frodo. Più materiale e legato agli agi casalinghi, risulta più spiazzato e impacciato durante l'intero film. E' sempre da tenere conto che mentre Frodo è sempre accompagnato da figure familiari quali Sam, Merry, Pipino e Gandalf, Bilbo si trova in compagnia di sconosciuti, tra i quali non si sente nemmeno bene accetto.
A molti non è piaciuta particolarmente la caratterizzazione dei nani. Alcuni infatti sono stati rappresentati un po' caricaturali, ma a parer mio è stato fatto un buon lavoro: nel libro non ci sono descrizioni che vadano ad approfondire molto il carattere o l'aspetto fisico del singolo. Nel film invece oltre ad un'ottima caratterizzazione visiva,ognuno dei tredici nani ha delle movenze e un'espressività propri. A parte Thorin, è vero, nessuno di loro ha la dignità e l'austerità che Tolkien conferisce al popolo dei nani. Ma è anche da considerare che all'interno del gruppo i guerrieri sono pochissimi, alcuni sono molto giovani, altri troppo vecchi. Nel complesso, il film presenta una compagnia unita, ma variegata e un po' allo sbando.
Oltre ai nuovi personaggi, avremo il piacere di incontrare vecchie conoscenze, dall'aspetto ovviamente più giovane e dai modi di fare più leggeri (complice il fatto che la storia si svolge dopo un lungo periodo di pace e la minaccia di Sauron non incombe ancora sulla Terra di Mezzo), come Gandalf, Saruman, Elrond e Galadriel, che vengono approfonditi e ci viene dato modo di conoscere un altro lato della loro personalità.
Anche il personaggio di Gollum torna sullo schermo in un ruolo primario, e ci viene mostrato sotto una luce differente. Se infatti nel Signore Degli Anelli ci viene presentato soprattutto come un essere viscido e spregevole che agisce soprattutto per istinto e bramosia (seppur non esente da redenzione), qui vediamo quanto possa essere inquietante, intelligente e pericoloso.
Troviamo anche la figura di Saruman, e qui devo dire che non mi è piaciuto troppo come è stato trattato. Dovrebbe essere un grande stregone, potente, saggio ma saldo nelle proprie convinzioni. In parte lo si intuisce, ma fa soprattutto la figura del vecchio brontolone rompiscatole: non sono riusciti a infondergli l'aura di autorevole rispettabilità che mi aspettavo. Parlando di stregoni, in molti non hanno apprezzato il personaggio di Radagast, eppure secondo me è riuscito particolarmente bene, comparandolo al libro: uno stregone all'apparenza folle, guardiano dei boschi, che a causa della vita a contatto con gli animali e la natura ha perso la concezione delle cose materiali (viene nominato Bosco Atro, ed è un peccato che il viaggio attraverso di esso sia stato omesso nella produzione del Signore degli Anelli). Per chiudere l'argomento maghi e micamaghi, Gigi Proietti se la cava più che bene nel dare la voce a Gandalf (come quasi tutti sanno il doppiatore precedente è venuto a mancare).

Tutti i personaggi si muovono in un'ambientazione curata nei minimi dettagli. La computer grafica è superba, insieme alla regia che ci regala paesaggi epici degni del Signore degli Anelli. Forse anche un'atmosfera più "umile" sarebbe stata adatta al soggetto, visto che si tratta di una fiaba... ma del fattore "fiaba" ne parlerò tra poco. L'atmosfera è molto più leggera rispetto al Signore degli Anelli: ma, di nuovo, dipende dal fatto che non c'è una minaccia incombente, non c'è una guerra in arrivo. I popoli della Tera di Mezzo, non sono sotto pressione, si tratta di una faccenda strettamente personale trai nani e la riconquista di una città. Riconquista in sordina, non vengono mobilitati eserciti e non ci sono grandi alleanze, solo un gruppo ristretto di persone che partono per un'impresa a prima vista impossibile.
E questo aggiunge tutte le emozioni derivate dall'incognita dell'abilità dei personaggi: come già detto non si tratta di guerrieri, e ci si chiede sempre come faranno a cavarsela. Spesso con l'ingegno, l'unione, il coraggio e un pizzico di fortuna: al contrario degli epici Aragorn e Legolas, per i quali difficilmente ci si preoccupa anche durante le battaglie più sanguinose, questi sono personaggi che possiamo sentire più vicini.
All'inizio della pellicola sono presenti due canzoni. Io non amo i musical, o più in generale le canzoni nei film, ma ho apprezzato questa scelta. Non sono invasive, contribuiscono a mantenere lo spirito del libro (nel quale sono presenti filastrocche e canzoni), e aiutano a capire l'indole del popolo nanesco.

Il grosso problema del film, tuttavia, è che il libro dal quale è tratto è stato concepito come fiaba per bambini e ragazzini. Ora non ditemi "si, lo sapevo ma mi ha deluso lo stesso", lasciatemi continuare.
Lo Hobbit è una fiaba scritta nel 1937. Il concetto di fiaba per bambini, nel frattempo, è profondamente cambiato (basta che vi andiate a leggere una favola dei Grimm originale, è tutt'altra cosa rispetto alle versioni moderne che conosciamo noi). L'altro giorno, girando in libreria, ho trovato dei volumi di "fiabe reinterpretate per i più piccoli", chiaro esempio della tendenza che meglio rappresenta il panorama favolistico attuale. Fiabe che già sono per bambini che si è sentito il bisogno di reinterpretare. Perché considerate troppo violente, inadeguate e quant'altro. C'è una spaventosa tendenza al buonismo e all'edulcorazione dei prodotti rivolti a un pubblico infantile che fa quasi paura. A modificare le fiabe ci ha già pensato, all'epoca, Walt Disney, eppure molti dei classici Disney ora come ora vengono considerati quasi traumatici. Si, è un bel colpo, per un bambino, vedere un protagonista alla quale è uccisa la madre, oppure apparizioni come draghi e demoni, ma, a parer mio, non è nulla di davvero traumatico, anzi, diventa propedeutico per affrontare emozioni più forti nella vita reale, come il lutto e la paura.
Tutto questo discorso per dire che anche Lo Hobbit è stato in parte vittima di questa tendenza. E' una fiaba per bambini, e allora andiamo a infilarci voci buffe, gag spesso leggere, battute evitabili (ho trovato del tutto fuori luogo la voce del re dei goblin e una vocetta stridula data ad un troll, ad esempio). Che spesso nel libro sono assenti, o presentate in un contesto che crea un'atmosfera decisamente diversa.
Ho già detto che l'atmosfera generale del film mi è piaciuta, ma a tratti si perde: ci sono dei momenti dove tutta la stupenda sensazione di essere immersi in una favola crolla, e alcune scene (poche, per fortuna), sembrano spuntare dritte dritte da un telefilm fantasy. E' come passare dalla lettura di una fiaba di Esopo o di Calvino a un volume di Geronimo Stilton. Stesso target, qualità decisamente diversa. E ci sono rimasto male, proprio per questi passaggi repentini.
Ricollegandomi al discorso dei paesaggi e delle ambientazioni  di cui parlavo poco prima, a molti la scelta non ha entusiasmato proprio perché certe immagini non sono comunemente collegate al concetto che abbiamo di "fiaba". Il fantasy o è epico o è fiabesco, e le cose non si possono mescolare.
Ma da piccolo, quando mio padre mi leggeva il libro, io me lo immaginavo esattamente così, ambientato in questi spazi immensi e grandiosi: per me era una fiaba ed era epica allo stesso tempo.

Ed è questa, secondo me la chiave per godersi davvero il film: non l'essere consapevoli del fatto che sia una fiaba per bambini, proprio il guardarlo CON GLI OCCHI di un bambino. Riuscire ad entusiasmarsi per un paesaggio epico così come per una slitta trainata da conigli e, soprattutto, non stupirsi del fatto che entrambe le cose siano nello stesso film.
Insomma, ritrovare un po' quell'innocenza fanciullesca che ride al buffo e si entusiasma per l'epico, che apprezza una canzone e si infervora per una battaglia.
Mettete un po' da parte lo spirito critico, le preoccupazioni materiali, dimenticate i malumori: tornate bambini, quando il problema più grave della vita era non trovare il mattoncino Lego della misura giusta per completare la costruzione quasi ultimata.
E lasciatevi trascinare in questa fiaba, ne uscirete pieni di meraviglia e stupore.

Torta al Mars

Spaca botilia, amaza fegato
 Di nuovo in cucina, con una ricetta che più semplice di così c'è solo l'acqua calda, ovvero la torta di Mars. Se volete preparare un dolce con zero possibilità di fallimento, questo è quello che fa per voi. Davvero, anche una scimmia cieca sarebbe in grado di prepararlo con successo.
Una piccola premessa.
Il riso soffiato che dovete usare sono i cereali, non il riso soffiato semplice: servono a dare al dolce una consistenza più croccante, con il riso soffiato e basta si impacca tutto e diventa un mattone. Io consiglio i Rice Krispies, che non contengono cioccolato. Se volete proprio esagerare, potete usare il riso soffiato al cioccolato. Magari non i Coco Pops, scegliete una marca con una percentuale di cacao e zucchero un po' più bassa.
Per quanto riguarda i Mars, ho scoperto che nei supermercati più grandi e forniti, è possibile trovarli a "stecche": 12 barrette verranno a costarvi all'incirca 3 euro.
Per lo stampo da dolce invece, è indispensabile che sia rigido e non in silicone: l'impasto va pressato parecchio, con quelli in silicone non si può fare un buon lavoro.
Ingredienti:
  • 10 barrette di Mars
  • 100 grammi di burro
  • Una confezione di riso soffiato
Tagliate il burro e le barrette di Mars a pezzetti, mettete il tutto in una pentola capiente e fateli sciogliere a fuoco basso, mescolando in continuazione con una spatola o un cucchiaio di legno.Una volta ottenuta una crema densa, avete due possibilità.
Potete spostare la pentola sul fuoco più piccolo, e mettere il fuoco al minimo, in modo che il composto non solidifichi. Aggiungete il riso soffiato poco alla volta, continuando a mescolare.
Oppure, se avete paura che il cioccolato si attacchi al fondo della pentola, bruciandosi irimediabilmente, mettete i cereali in una ciotola e versatevi il composto caldo tutto in una volta, mescolando molto velocemente. I Mars contengono caramello, che solidifica alla velocità della luce.
 Mettetevi d'impegno, verso la fine l'impasto sarà compatto, colloso e ostico. Continuate finché il cioccolato fuso non sarà perfettamente distribuito, poi togliete dal fuoco.
Foderate l'interno della tortiera o dello stampo con della pellicola trasparente, e tendetela bene. Occhio a non fare l'errore di usare l'alluminio: si incastrerà tra i chicchi di riso e i ritroverete a togliere minuscoli pezzetti rognosi con precisione millimetrica, nemmeno steste giocando all'Allegro Chirurgo (con la differenza che non sarete allegri ma incazzati). Perché foderare lo stampo? Perché l'impasto appiccica da morire, eviterete il rischio che si incolli alla tortiera, diventando impossibile da estrarre.
Prendete una cucchiaiata di impasto, mettetela nello stampo partendo dai bordi o dagli angoli, se presenti, e pressate bene, aiutandovi eventualmente con un batticarne. Continuate pian piano con piccole quantità di impasto, per evitare che all'interno della torta restino delle bolle di aria.
Lasciate raffreddare completamente, quindi mettetela in frigo per almeno due o tre ore, prima di rovesciarla su un piatto da dolci.
Ok, questa è la base. Potete guarnirla a piacere o mangiarla così. Inoltre, questo impasto può essere usato in altri modi, dandoci la possibilità di sbizzarrirci un po'.

Caramelle
Se volete fare un pensierino a qualcuno, eseguite la preparazione già detta, ma mettete l'impasto in una teglia rettangolare. Una volta raffreddato, rovesciate il dolce sul piano da lavoro, tagliatelo in piccoli rettangolini (circa 1cmx2cm o 1cmx3cm). Procuratevi della carta trasparente per alimenti (quella che si usa per fare le ceste natalizie, per intenderci), tagliatene tanti quadratini, e avvolgete i pezzetti di dolce, chiudendoli alle estremità con dei nastri colorati, creando un effetto "caramella".

Mignon
Se dovete organizzare una piccola festa tra amici, o portare un vassoio di dolcetti a una cena, preparate il solito impasto seguendo le istruzioni riportate sopra.
Procuratevi un panetto di fondant (pasta di zucchero) colorata, oppure bianco e coloratelo voi (o ancora, fatela in casa seguendo questa ricetta).
Con l'impasto, fate delle palline della grandezza di un cioccolatino Lindor, o anche un po' più piccole.
Stendete il fondant su un piano spolverato di zucchero a velo fino a uno spessore di 2-3 millimetri e con un bicchiere ricavatene dei dischetti. Usate i dischetti per rivestire le palline, facendole rotolare per ottenere una superficie perfettamente omogenea. A questo punto, potete lasciarle opache o spruzzarvi sopra un lucidante alimentare da pasticceria.
Mettete ogni pallina in un piccolo pirottino, disponetele su un vassoio e preparatevi a fare un figurone!

Torta bicolore
Procuratevi una confezione di panna da montare da 500ml, possibilmente non zuccherata (il dolce è già ipercalorico di suo, e pure la panna, anche senza zucchero, fa diventare tutti ciccia e brufoli).
Una volta preparata la base (possibilmente rotonda, se siete alle prime armi), montate la panna a neve fermissima.
Posizionate la base su un piatto da dolci, e, aiutandoci con una spatola, iniziate a ricoprirlo con uno spesso strato uniforme di panna. Per i bordi, aiutatevi a farli ben perpendicolari usando il bordo solido della torta al mas come guida.
Guarnite a piacere o lasciate bianca, è bella lo stesso.
Se non ve la sentite di spalmare uno strato uniforme (che non è così facile come sembra), procuratevi una sac à poche con beccuccio a stella e ricopritela  di fiocchetti di panna.

Cupcakes
se avete una teglia per fare i muffins/cupcakes, potete approfittarne. Rivestite gli incavi con la solita pellicola trasparente, e usateli come stampini per creare delle basi con il solito impasto di cui sopra. Una volta sformate, saranno delle perfette basi da cupcake (tenete conto che la teglia da muffins è spesso un po' più profonda).
E si, avete bisogno della teglia da muffin, gli stampini in silicone sono troppo morbidi e, come già detto, non si riesce a pressare l'impasto a sufficienza.

Questo è quanto. Come promesso è una ricetta semplicissima, che potete usare per conto suo oppure come base per fare un bel po' di piccole puttanate (ma puttanate carine e gustose). Andate tutti a devastarvi il fegato, su.

L'età inquieta

Anche le donne possono scrivere ottimi libri horror
Ormai dovreste sapere che adoro le raccolte di racconti. Piccoli mondi nei quali ci si può rifugiare per un breve tempo, senza impegno, ma che se scritti bene riescono a dare anche più emozioni di un romanzo.
Spulciano in libreria nel reparto horror, in mezzo a tutta la schifezza denominata "paranormal romance", alla quale darei volentieri fuoco, ho scovato "L'età inquieta", un libretto di un'autrice che non avevo mai sentito nominare.
In genere sono diffidente nei riguardi degli horror scritti da donne. E invece, leggendo poche pagine sul posto, mi sono ricreduto alla velocità della luce e l'ho immediatamente acquistato.
Documentandomi un po' ho scoperto che l'autrice, Anna Starobinec, è una stella emergente del panorama letterario horror russo. Giovanissima (è nata nel 1978, quindi ha solo 35 anni), lavora come giornalista presso i maggiori quotidiani russi, e le sue pubblicazioni hanno sempre riscontrato ottimi pareri da parte della critica.

Il libro che mi è capitato tra le mani, come già detto, è una raccolta di racconti.
Cercherò di spendere poche righe per ognuno di essi, senza svelarvi nulla di importante. Perché ognuno di questi racconti merita una piccola parentesi tutta per sè.
Formicaio
Dopo una gita primaverile al parco, Marina si rende conto che suo figlio Marks non è più lo stesso. Prima viene colpito da un'otite fulminante che si protrae per mesi, poi... inizia a comportarsi in modo strano. Piccole stranezze che man mano diventano sempre più evidenti, ma alle quali Marina si rifiuta di trovare una soluzione effettiva, spinta dall'amore materno e dall'istinto protettivo verso un figlio che si sta, lentamente ma inesorabilmente, trasformando in qualcos'altro.
Viventi
Mosca non è più quella di un tempo. E' successo qualcosa, una guerra, un'epidemia, una sommossa che ha decimato la popolazione cittadina. La protagonista è una dei pochi sopravvissuti e ha tutto quello che desidera: terra, case, denaro. Ma l'unica cosa che le importa davvero sarebbe riavere indietro il marito, morto da tempo. Grazie alla tecnologia moderna nulla è impossibile: si può benissimo comprare un androide che ne sia l'esatto clone, con tutti i pregi, difetti, vizi e ricordi. Ma sarebbe davvero la stessa cosa?
La famiglia
Dima è in viaggio verso Mosca per comprare un cucciolo di bulldog. Ha una bella vita, una famiglia, un lavoro che lo soddisfa. Ma durante la notte passata nella cuccetta del treno, qualcosa cambia: al risveglio un passeggero sostiene di essere il suocero, e un'altra perfetta sconosciuta afferma di essere sua moglie. Ma non è cambiato solo quello: Dima ha un nome nuovo perfino sui documenti. Inizialmente convinto di essere vittima di una truffa o una burla bene architettata, il protagonista scopre di essere scivolato in un paradosso che cambierà completamente la sua vita.
L'agenzia
Esiste un'agenzia misteriosa nota solo a pochi eletti che si occupa di far succede cose. Ha i migliori sceneggiatori e scrittori, centinaia di bestseller che aspettano solo il nome dell'autore, e si occupa anche di eliminare persone scomode. Ma, come ci spiega il protagonista, non si tratta di assassinii: l'Agenzia combina avvenimenti, scrive sceneggiature, manipola i fatti. Sempre restando nell'ombra.
La fessura
Non bisogna mai spiare dalla fessura di una porta socchiusa per un numero pari di volte. Perché? Perché altrimenti ne esce Dio e ti porta via con lui. La figlia di cinque anni avverte il protagonista di questa pericolosa abitudine. Ma in fondo sono solo le innocenti invenzioni e regole dei bambini... giusto?
Le regole
Tornando alle regole infantili, tutti, da bambini, abbiamo avuto le nostre regole personali: non pestare le crepe del marciapiede, camminare solo sulle piastrelle di un determinato colore e così via. Saša le prende molto sul serio. Se infrangesse le regole, succederebbero cose brutte. Cose molto, molto brutte.
L'eternità di Jasa
Una mattina Jasa si sveglia e si rende conto di essere morto. Si sente in gran forma ma è impossibile negare che il suo cuore non batte più. Assurdamente però nessuno sembra prendere la cosa con la dovuta tristezza: è anzi un'infinita seccatura avere in casa una persona di cui non si sa osa fare a livello legale e burocratico.
Io aspetto
E' possibile affezionarsi al cibo tanto da non volersene più separare? Anche se ormai è andato a male da mesi? Assolutamente si. E si può andare anche oltre, fino a sviluppare una vera e propria attrazione erotica per esso.
Questa raccolta è una boccata di aria fresca nel panorama horror attuale. I racconti sono incisivi, senza fronzoli, e in poche righe l'autrice riesce a modellare scenari e personaggi.
Le ambientazioni sono sempre curate e l'atmosfera generale è sempre opprimente, proprio come dovrebbe essere in un buon componimento horror. MA la cosa che me lo ha reso più gradevole è il fatto che il tutto sia sempre ambientato in Russia. L'autrice ha saggiamente scelto un terreno conosciuto nel quale fosse libera di muoversi dando il meglio di sè. E c'è poco da fare, si sente che non è il classico libo americano o inglese: c'è una sensibilità diversa, un'attenzione particolare ai dettagli (complice anche il fatto che a scrivere sia una mano femminile), che distanzia nettamente lo scritto da autori già noti, ai quali molti scrittori esordienti cercano di fare il verso, riuscendo solo a creare pallide imitazioni senza un carattere proprio. L'autrice conosce bene e cita Stephen King, autore dal quale prende saggiamente le distanze.
Nella maggior parte dei racconti aleggia un'atmosfera sì opprimente, ma anche sottilmente inquietante: è la sensazione di percepire che qualcosa non quadra, ma di non capirne il perché. Spesso ci verrà fornita una spiegazione e i misteri si dipaneranno pian piano nel corso della lettura, più spesso no, lasciandoci ancora con qualche dubbio.
In merito, i racconti si possono dividere in due categorie: quelli compiuti, nei quali troviamo un inizio, uno svolgimento e una fine che va a chiudere il cerchio, e quelli di atmosfera, che sono quasi degli esercizi di stile nei quali l'autrice si sbizzarrisce a creare situazioni grottesche o paradossali che non necessitano spiegazioni approfondite (come ad esempio "La fessura" e "Io aspetto").
Gli appartenenti a questa seconda categoria sono simili alle famose "creepypasta", racconti del terrore amatoriali che hanno il solo scopo di raccontare una leggenda metropolitana o di inquietare il lettore. Ma quelli di Anna hanno una marcia in più, la mano del professionista si fa sentire.
Uno dei punti di forza della raccolta è il confine sottilissimo tra quotidianità, allucinazione e orrore: non si è mai sicuri in che momento del racconto si sconfini dalla prima alla seconda e dalla seconda al terzo. Ammesso che lo sconfinamento ci sia e non si tratti solo di una costruzione mentale.
Nel complesso, le storie sono difficili da analizzare, in quanto molto diverse tra di loro sia per temi che ambientazione. E' un libro che va letto con la dovuta attenzione, poiché ci troveremo spesso di fronte a ritorsioni temporali, spiegazioni all'apparenza illogiche, flashback e flashforward, il tutto condensato in pochissime pagine. Ogni tanto c'è qualche citazione a personaggi già apparsi in racconti precedenti, ma il tutto è alterato, non combacia mai perfettamente, creando la sensazione di realtà distorta o universo parallelo.
I personaggi meritano una nota particolare: anche in poche pagine prendono volume e tridimensionalità quasi immediati. Sono persone comuni, nelle quali ci si può identificare con grande facilità, ma non per questo sono piatti, tutt'altro: sono magnificamente vivi e in pochissimo spazio viene approfondito il loro lato psicologico il più possibile. Ma, di nuovo, senza appesantire la struttura narrativa: scopriremo il loro carattere attraverso pensieri, dubbi, piccoli dettagli delle loro azioni.
Nel complesso, lo stile dell'autrice si colloca a metà tra l'horror occidentale esplicito e diretto, e le grottesche allucinazioni dell'horror orientale, creando un mix perfettamente equilibrato. In più punti si sente, fortissimo, il senso di "realtà grottesca ma accettata" che arriva dritto dritto da "La Metamorfosi" di Kafka. Il tutto con un occhio sempre rivolto alla società moderna, ai suoi problemi, al suo cinismo e alla rassegnazione dell'uomo medio.

Ve lo consiglio assolutamente. L'edizione è economica, robusta, con una grafica particolare e delle dimensioni perfette per essere infilato in borsa.
L'unico avvertimento che vi dò è: non leggete la prefazione. Quella maledetta facciata di prefazione è in grado di rovinarvi tutta la lettura in pochi minuti, svelandovi tutti i colpi di scena in una manciata di righe. Non so chi l'abbia scritta, ma ho una voglia terribile di prenderlo a sberle.
A parte questo, invito tutti a fare la conoscenza di quella che è stata definita "la regina dell'horror russo".

Frutta e verdura - gennaio

I carciofi sono buoni, dai

E rieccomi a scrivere! Spero vi siate passati bene le vacanze. Buon anno nuovo, sperando vada più decentemente di quello vecchio, fate i vostri buoni propositi che dimenticherete tra pochi mesi e bla bla bla, solite cose.
Cominciamo il 2013 con la solita rubrichetta mensile su frutta e verdura, dai. 
Ebbene,pensavate di aver toccato il fondo a dicembre? Errore. Ormai siamo in gennaio, è pieno inverno, e la verdura e la frutta fresche sono quello che sono (tenete anche conto del fatto che tralascio le verdure perenni che è possibile coltivare a ciclo continuo senza alcun problema, come carote e patate, quindi c'è anche quella roba lì).
Per un altro mese, se volete mangiare roba di stagione, dovrete accontentarvi i cavoli, cavolfiori, sedano e cose del genere; questo significa minestroni a ruota libera.
D'altro canto avete sempre a disposizione ottimi agrumi, sul versante ella frutta, per spezzare un po' la monotonia.

VERDURA DI GENNAIO

Broccoli
Continuiamo a trovare i broccoli freschi, ne avremo fino ad aprile (e varietà tardive fino a maggio). Ricchissimi di sali minerali, vitamine e fibre, contengono anche sostanze utili alla salute della tiroide. Sono antitumorali, diuretici, emollienti, depurativi e prevengono l'anemia. Puzzeranno pure, ma fanno solo bene.
Apporto calorico per 100g: 27kcal

Carciofi
Ne abbiamo ancora per molto tempo (anche loro fino ad aprile). Poche vitamine ma tanto potassio e ferro. Apporta benefici al fegato, favorisce la diuresi e la produzione di bile, aiuta la digestione, abbassa il tasso di colesterolo nocivo e previene malattie cardiovascolari.
Apporto calorico per 100g: 18kcal

Cavolfiori e cavoli
Ce n'è ancora per tutti. Troviamo ora il palla di neve, il verde di macerata, il cappuccio tardivo, rosso e gigante, i cavolini di Bruxelles, il cavolo verza, il vere romanesco, il cavolo verza, il tardivo invernale e altri ancora. Cavoli e cavolfiori sono ricchi di vitamina C e sali minerali, hanno proprietà depurative (il che, unito all'alta quantitàdi minerali presenti in essi favorisce la rigenerazione dei tessuti), antinfiammatorie, antiossidanti e antitumorali. Hanno anche la proprietà di abbassare il tasso glicemico nel sangue. Tutta salute.
Apporto calorico per 100g: 25kcal

Finocchi
Troviamo ora la verità Genesi, particolarmente resistente al freddo. Questo ortaggio è depurativo, antiossidante e ipocalorico. Gran cosa per la salute e per la linea, insomma. A me fa schifo.
Apporto calorico per 100g: 15kcal

Indivia
Siamo nel periodo migliore per l'indivia invernale che ci terrà compagnia fino a primavera. E' ricca di calcio, fosforo, vitamina A, ferro e oligoelementi. Protegge le cellule dall'invecchiamento precoce, ha proprietà diuretiche e apporta benefici allo stomaco.
Apporto calorico per 100g: 10kcal

Porro
Ultimi porri freschi nei primi giorni di Gennaio (residui delle cultivar autunnali, ma solo se avete fortuna), ma a Febbraio torneranno con le cultivar invernali. I porri contengono vitamine, fibre, magnesio, silice... tutta roba buona. Hanno proprietà toniche, diuretiche, lassative, antisettiche; abbassano il colesterolo, rafforzano il sistema immunitario e aiutano la prevenzione di tumori. Tengono pulito l'intestino e sono utili per curare anemia, artrite e infezioni urinarie.
Apporto calorico per 100g: 30kcal

Radicchio
Se volete radicchio fresco affrettatevi, perché sono gli ultimi. Ricco di calcio, fosforo, potassio e Vitamina C, contiene anche un sacco di fibre, ottime per combattere la stitichezza. Grazie all'inulina limita l'assorbimento del colesterolo e previene le malattie cardiovascolari.
Apporto calorico per 100g: 13kcal

Sedano
Siamo ormai in inverno inoltrato, troviamo le varietà davvero croccanti. E' rimineralizzante, depurativo e svolge un'azione calmante e antidepressiva sul sistema nervoso. Tonifica la pelle e diminuisce la pressione arteriosa.
Apporto calorico per 100g: 15kcal

Spinaci

Si trovano ora sul mercato le varietà invernali, meno benefiche per l'organismo rispetto a quelle primaverili, ma è comunque roba buona. Sono ricchissimi di sali minerali, hanno proprietà tonificanti che giovano al cuore, aiutano la produzione di globuli rossi e fanno perfino bene alla vista.
Apporto calorico per 100g: 24kcal


FRUTTA DI GENNAIO

Arance
Ora danno il loro meglio le arance a polpa rossa. Tutti sanno che sono piene di vitamina C, che rafforza il sistema immunitario, combatte i radicali liberi e aiuta ad assorbire meglio il ferro, contrastando l'anemia. Aiuta la vista e ha proprietà antiossidanti.. ma ricordate che gran parte delle sostanze migliori si trovano nella pellicina bianca, non toglietela! Se decidete di farvi una spremuta, consumatela in breve tempo: bastano pochi minuti per far evaporare tutte le vitamine.
Apporto calorico per 100g: 34kcal

Limoni
Ancora limoni invernali! Tanta vitamina C che aiuta vista e sistema immunitario, insieme a proprietà depurative ed antiossidanti. E' utile contro nausea, raffreddore, ha benefici su fegato, pancreas e sangue e ha eccellenti proprietà disinfettanti.
Apporto calorico per 100g: 14kcal

Mandarini
Siamo nel periodo perfetto per i mandarini, che ci terranno compagnia fino ad aprile (con un po' di fortuna). Ricco di vitamina C, fibre, sali minerali e carotene, il mandarino è utile per prevenire il raffreddore, iuta l'apparato digestivo (essendo facilmente digeribile), favorisce la diuresi e regola la pressione arteriosa.
Iniziamo a trovare anche gli ibridi del mandarino, ovvero il mandarancio (più dolce), la clementina (ibrido tra mandarino e mandarancio) e il mapo (ibrido tra mandarino e pompelmo), che ne condividono le proprietà.
Apporto calorico per 100g: 44kcal

Mele
Grazie alla loro capacità di conservarsi naturalmente a lungo ce n'è ancora per tutti. Antitumorali e antiossidanti, prevengono del 21% il rischio di contrarre tumori. Una mela contiene fruttosio facilmente assimilabile, abbassa il colesterolo dannoso e aumenta la produzione di quello benigno, apporta benefici alle vie respiratorie, previene malattie cardiache e cerebrali. Si sa che una mela al giorno....
Apporto calorico per 100g: 45kcal

Pere
Ancora pere. Un sacco di pere.
Troviamo la Conference, la Kaiser, la Decana del Comizio, la Abate, la William rossa, la Rosada e la Decana d'Inverno.
La buccia della pera è ricca di fibre: pectina, una sostanza che contribuisce ad abbassare il tasso di colesterolo "cattivo" nel sangue e lignina, che assorbe acqua e previene tumori al colon. Ha proprietà antiossidanti e porta benefici a enti e digestione.
Contiene anche parecchi zuccheri ed è l'ideale per quando ci si sente spossati. Insomma, se siete giù di corda, fatevi una pera che vi passa.
Apporto calorico per 100g: 40kcal

Pompelmi

Ora abbiamo a disposizione sia il pompelmo giallo che quello rosa (un po' più dolce). Ricchi di fibre, sali minerali e di vitamine, hanno un forte effetto antiossidante che va a favore di fegato e sistema circolatorio. Hanno pure proprietà antitumorali. Insomma, potete anche sopportare il loro sapore aspro e amaro ogni tanto.
Apporto calorico per 100g: 35kcal