Tideland

Una fiaba moderna, distorta e veritiera al tempo stesso
 Penso abbiate notato che ultimamente recensisco pochi libri.
Il motivo principale è che incappo o in libri che non stuzzicano particolarmente la mia voglia di recensire, oppure in libri dei quali avrei da dire troppo, con il risultato che la mia pigrizia mi toglie qualsiasi voglia di mettermi a scrivere.
Questo mese qualcosina ho letto (anche se poco rispetto ai miei standard), e ovviamente non mi va di recensirlo. Sono articoli che di sicuro arriveranno più avanti, quando avrò voglia di mettermici.
Così ripesco un libretto che ho letto anni fa e ve ne parlo un po'.

All'epoca ho comprato Tideland completamente a caso. Mi piaceva la copertina, mi piaceva la trama, e l'ho provato.
Si tratta di un romanzo drammatico dell'autore statunitense Mitch Cullin pubblicato nel 2000, dal quale è stato tratto un film dal titolo omonimo nel 2005.
Jeliza-Rose è una bambina dalla situazione famigliare disastrosa: entrambi i genitori sono tossicodipendenti e disoccupati. Non possiede giocattoli al di fuori di tre teste di Barbie, e assolve ai suoi piccoli doveri domestici (massaggiare le gambe gonfie della madre, sterilizzare le siringhe e preparare le dosi ai genitori) come una brava donnina di casa.
Ma la sua vita prende una piega diversa quando la madre muore di overdose. Per non farsela portare via dagli assistenti sociali il padre fugge con la bambina in un casolare nel Texas, in mezzo al nulla.
Jeliza si sente in paradiso: può mangiare e lavarsi quando vuole, nessuno la sgrida, può esplorare un mondo nuovo e sconosciuto. Anche se il padre, un giorno, sedutosi in poltrona per pensare, non si alza più, e presto comincia a coprirsi di macchie violacee e ad ammorbare la casa con terribili "puzzette".
La bambina si trova completamente sola, ma non sembra esserne spaventata: è un'avventuriera coraggiosa, lei. C'è tanto da esplorare: i campi, i boschi, i binari del treno, l'enorme casa decadente, e gli strani vicini di casa le forniscono tutto l'intrattenimento necessario.
Anche se il burro di arachidi è quasi finito, non c'è acqua corrente in casa e le formiche hanno mangiato le ultime fette di pane.
Il tema dell'immaginazione infantile mi ha sempre affascinato.
Dopo un breve flashback, incisivo e potente come una mazzata sulle ginocchia, ci ritroviamo nei panni di una bambina orfana che non si rende affatto conto della situazione. O forse in parte ne è consapevole, ma le sue naturali difese psicologiche distorcono la realtà per renderla accettabile.
I bambini emarginati e soli tendono a parlare con i loro giocattoli e a costruirsi un mondo di fantasia.
Ed è quello che fa anche la protagonista: le teste delle Barbie sono le sue coraggiose amiche, e l'orrore che la circonda sembra non riuscire a toccarla.
si rinchiude in un mondo immaginario che, visto dagli occhi di un adulto, è raccapricciante: la bimba parla con il cadavere del padre, interagisce con i vicini ritardati e vive nei boschi come una piccola selvaggia, il tutto come se fosse la cosa più naturale del mondo.
Non lo trovo così esagerato: in situazioni estreme i bambini dimostrano delle risorse insospettabili e spesso incomprensibili per una mente adulta.
La narrazione è spesso lenta e onirica, e il punto di vista della bambina è reso davvero bene. Non ci sono descrizioni disgustose o spaventose, anzi, la scrittura è delicata e tutto è circondato da un alone magico, e le pagine scorrono via in fretta.
Il che, per contrasto, ce lo rende ancora più inaccettabile e conferisce al libro toni vagamente disturbanti e gotici.
Oltre alla protagonista ci sono pochi personaggi, che conosceremo solo attraverso gli occhi della bambina. Potremo farcene un'idea vaga, sia di loro che dell'ambiente circostante, visto che tutto è filtrato e ci appare distorto. Ma questi scenari vaghi ed edulcorati a sproposito (ricordiamoci che l'inconscio di Jeliza sta lavorando a pieno regime per mantenere la sanità mentale), queste situazioni surreali, questi personaggi spesso grotteschi, ci faranno fare un bel salto all'indietro, riportandoci alla nostra stessa infanzia.

Molti hanno descritto questo libro come un omaggio ad Alice nel Paese delle Meraviglie. Di sicuro ci sono citazioni al libro di Carroll, ma non penso affatto che questo romanzo vi sia stato "costruito" sopra. E' bello pensare a Jeliza come ad un'Alice moderna, finita in un Paese delle Meraviglie che a noi appare totalmente sbagliato, ma che per lei è solo misterioso e meraviglioso. Ma il punto focale nel libro non è questo: vi consiglio di godervi le citazioni a Caroll (prima fra tutti la tana del coniglio) come fini a sè stesse e a cercare in questo romanzo qualcos'altro.
Infatti la situazione rappresentata, sebbene appaia esagerata, è purtroppo un'effettiva realtà. E, guardando oltre al problema principale della tossicodipendenza, ci si rende conto di come il personaggio del padre sia incredibilmente moderno e fin troppo comune: un uomo invecchiato nel corpo ma non nella testa, che vuole fare la rockstar a quasi settant'anni. Un disadattato sociale fondamentalmente innocuo (e per molti versi simpatico), che nonostante i propri fallimenti ama sua figlia.
Ma la ama di quell'amore egoistico fin troppo comune ai giorni nostri, che non pensa al bene della bambina, ma al proprio. Simile a quello delle coppie che nonostante sappiano che se avessero un figlio potrebbe nascere deforme o ritardato, di quelle donne che a sessant'anni vogliono fare figli, di quelle famiglie che pur avendo la disponibilità economica per adottare un bambino ne vogliono a tutti i costi uno "loro". Come dicevo, è una forma di egoismo mascherata ma molto, molto comune.
Il libro porta alla luce anche il fatto puro e semplice che non bastano una madre e un padre per allevare un bambino in modo sano.
E, marginalmente, che un bambino riesce ad adattarsi sorprendentemente bene a ciò che lo circonda, per quanto orribile o disturbante, facendolo rientrare nella propria quotidianità.

Globalmente è un libro delicato e incredibilmente amaro. Da un lato è piacevole poter vivere di nuovo attraverso gli occhi di un bambino e tornare ai tempi nei quali tutto era facile, tutto era mistero, tutto era magia.
Ma non possiamo goderlo appieno, tormentati dalla parte matura e razionale del nostro cervello, che ci ripete in continuazione quanto sia sbagliato ciò che stiamo leggendo. E che, in parte, ci ricorda che quei giorni per noi sono ormai finiti.