La pietra del vecchio pescatore

Leggende celtiche e nostalgia a secchiate

Sono particolarmente legato al libro di cui andrò a parlarvi oggi.
Mi è stato prestato anni e anni fa da mia zia e all'epoca mi aveva letteralmente stregato. Da adolescente mi era venuta voglia di rileggerlo, ma era andato perso, per via di tutta una serie di problemucci famigliari (quelli del tipo per cui non fai molto caso a dove finiscono i libri di casa). Ho continuato a cercarlo senza successo.
Scovato in biblioteca a Modena, ne ho riletto un pezzo, convincendomi sempre di più che era un titolo che volevo assolutamente nella mia libreria. Ho recuperato l'edizione in lingua originale, ma di quella italiana nessuna traccia.
Fino a che, un mesetto fa, sono riuscito a scovarne una copia in una libreria dell'usato a Bologna, che mi sono immediatamente portato a casa (per di più, per pochi spiccioli).
Così, dopo quindici fottuti anni di ricerca, ho avuto finalmente modo di rileggermi "La Pietra del Vecchio Pescatore" comodamente acciambellato tra le coperte.

Il titolo originale dell'opera è "The Hounds of the Morrigan", e la prima pubblicazione risale al 1985. L'autrice, Patricia Mary Shiels O'Shea (i cui romanzi sono stati pubblicati sotto il nome d'arte Pat O'Shea), ha origini irlandesi e ha scritto questo romanzo con l'intenzione di creare un libro per l'infanzia che affondasse le radici nella cultura e nelle leggende celtiche.
Ci è ben riuscita: nonostante le ci siano voluti tredici anni per scriverlo, The Hounds of the Morrigan è considerato (fuori dall'Italia, dove come già detto questo libro è pressoché sconosciuto), uno dei grandi classici per l'infanzia, e gode di enorme popolarità soprattutto nel Regno Unito.
L'influenza di Micheal Ende e del suo romanzo "La storia Infinita" è molto forte, soprattutto nell'incipit del libro, che tuttavia è lungi dall'esserne la brutta copia.
Dopo la solita, doverosa e breve, introduzione, diamo il via alla trama.
Patrick, detto Pidge, è un ragazzino irlandese dal carattere schivo e riservato. Un giorno scopre, per quello che sembra essere un puro caso, un antico manoscritto nel magazzino di un ex negozio di pegni. Esaminandolo meglio, dal libro escono due pagine: una presenta un'iscrizione in latino, l'altra il disegno di un serpente.
Senza saperlo, Pidge ha liberato un'antica, maligna creatura, e attirato su di sè l'attenzione dell'antica dea delle battaglie, la Morrigan, che ne brama il potere.
Se la Morrigan si impossessasse di quelle due pagine del manoscritto, sarebbe l'inizio di un'epoca di sventura. Ma nasconderle non è sufficiente, prima o poi la dea le troverebbe.
Così Pidge e la sorellina Brigit si troveranno, volenti o nolenti, incastrati in qualcosa di molto più grande di loro. Dovranno affrontare, sotto la guida della divinità della saggezza e della conoscenza, un lunghissimo viaggio, che li porterà indietro nel tempo e all'interno delle leggende irlandesi, per procurarsi l'unica cosa in grado di distruggere le pagine maledette: un sassolino, apparentemente insignificante, ma sporco del sangue della stessa Morrigan.
Ve l'avevo detto che l'incipit del libro risente moltissimo dell'opera di Ende. Ma questo non gli impedisce di svilupparsi e di avere un carattere proprio. Infatti se la Storia Infinita è soprattutto nella seconda parte quasi un romanzo di formazione sotto mentite spoglie fantasy, questo invece è puramente un romanzo di ricerca e viaggio. Si si, di nuovo il viaggio.
L'effetto nostalgico che è in grado di suscitare (ve ne parlerò tra poco) deriva dalla data di pubblicazione e non è negli intenti dell'autrice.
Il romanzo è costruito sulle basi della fiaba popolare, e al suo interno fanno la loro comparsa molti personaggi tipici delle fiabe e del folklore irlandese: riconoscere i personaggi e le citazioni è una goduria per un appassionato di miti e leggende come il sottoscritto.
Proprio per la sua appartenenza ad una cultura diversa da quella italiana e ai continui riferimenti folkloristici, il racconto, sebbene originariamente indirizzato ad un pubblico giovane, qui in Italia può essere pienamente apprezzato solo da chi è già un po' più grandicello (sebbene ogni bambino o ragazzino appassionato di fantasy lo amerà).
E' vero che il libro è un fantasy, ma è lontanissimo dal fantasy moderno (tema che ho già affrontato in altre recensioni), e ha più l'aspetto di una fiaba. Della fiaba ha anche la struttura: passaggi veloci, descrizioni sommarie, situazioni che spesso non necessitano di una spiegazione logica, frequenti ripetizioni. Uno stile al quale potrebbe essere difficile abituarsi, almeno per le prime pagine, visto che non brilla per raffinatezza e le frasi sono spesso costruite in un modo che oggi risulta grossolano (anche se qui potrebbe essere colpa anche del traduttore).
Il libro è ricchissimo di personaggi che, fatta eccezione per i protagonisti e la loro famiglia, sembrano uscire direttamente da una fiaba. E proprio come i personaggi delle favole, soffrono di un grande difetto: un minimo spessore caratteriale. Sono pochi quelli che vengono approfonditi, complice il fatto che spesso compaiono per poche pagine. Ma la cosa non va a pesare sulla struttura complessiva: ci troviamo di fronte a personaggi leggendari (nel senso letterale della parola), rimasti immutati per centinaia di anni, le cui azioni sono guidate da codici ancestrali e il cui carattere è bidimensionale a causa della loro stessa condizione di miti. Anche i protagonisti spesso trovano bizzarro il loro modo di agire, di parlare e di pensare, indice che la cosa non deriva da una scarsa abilità narrativa, ma è un espediente voluto.
A fare da contrasto a quelle che sembrano essere figurine di carta prive di spessore, spuntate fuori da una fiaba, ci sono i protagonisti, Pidge e Brigit. Nella loro semplicità caratteriale infantile risultano ben costruiti. Da un lato lui, più grandicello, di indole riflessiva e prudente, dall'altro la bambina, scatenata, sfacciata e senza una concezione del pericolo ben definita: nell'insieme formano una coppia bilanciata.
Proprio per la loro condizione di bambini tenderanno ad avere pochi dubbi sull'autenticità di ciò che succede, per la capacità di accettare il mistero e la magia in modo quasi naturale tipica dell'infanzia.
C'è da dire che Pidge, nonostante sia un amante dei libri, è lontano dallo stereotipo del ragazzino cicciottello e sfigato che tutti prendono in giro: è semplicemente un tipo riservato, che ama starsene sulle su e prendersi il suo tempo per pensare, ma che in caso di necessità non si tira di certo indietro. Punto a favore per lo stereotipo evitato.
Tutto il libro è ambientato nell'Irlanda rurale di venticinque anni fa: piccoli paesini, fattorie, fitti boschetti e infinite distese di campi e colline. Il che avrà un terribile effetto nostalgico per i lettori con più di vent'anni cresciuti al di fuori delle grandi città, visto che ritroveranno paesaggi molto simili a quelli dove hanno trascorso la loro infanzia. Penso che questo libro, nonostante sia un romanzo per ragazzi, possa risultare molto più interessante per chi ragazzo non lo è più. Quando è stato pubblicato qualsiasi ragazzino poteva immedesimarsi nei protagonisti, e fantasticare, durante le scorribande in aperta campagna, di vivere le loro stesse avventure. Non so come sia la campagna irlandese ora, ma di sicuro qui in Italia le cose sono cambiate parecchio, e i passatempi infantili di oggi non comprendono, almeno non nella maggior parte dei casi, lunghissime passeggiate in mezzo al nulla dei campi.
Tramite questa favola chi, come me, ha avuto un'infanzia in un ambiente "rurale", tornerà a ricordare i lunghissimi pomeriggi afosi estivi nei quali il tempo sembrava non trascorrere mai e nei quali l'unica cosa da fare era infilare un paio di provviste nello zaino e andare ad esplorare i dintorni. Ore passate a non far nulla e ad entusiasmarsi per ogni piccola cosa, quando ogni pretesto era buono per inventarsi favole fantastiche che facevano di ogni giornata un'avventura.
Insomma, nostalgia a palate, una punta di amarezza nel constatare quanto le cose siano cambiate e una buona dose di rimpianti per quei tempi passati dove bastava davvero poco per divertirsi (avere una bicicletta era già una gran cosa).

Complice la semplicità dello stile, la moltitudine di situazioni e le descrizioni rapide, è un libro che non impegna troppo e che si fa leggere tutto d'un fiato, anche mettendovici d'impegno ed essendo più pigri possibile probabilmente la lettura non vi impegnerà più di una settimana.
E' l'ideale per staccare la spina e riscoprire il valore e il piacere delle piccole cose.
Di contro, non è certo esente da difetti. Oltre alle ripetizioni già menzionate, questo libro va affrontato con l'idea di avere di fronte di qualcosa di estremamente semplice (anche se lo definirei più come "genuinamente" semplice). Non è un testo con una morale o una struttura impegnativi, e vi deluderà se in esso cercate qualcosa di profondo. L'ingenuità narrativa non manca e molti passaggi risultano deboli.
Nel complesso, va letto come libro "di genere", tenendo presente che si tratta di un romanzo per ragazzi, che i protagonisti sono bambini e che quasi tutto il racconto è visto dalla loro prospettiva. Se sarete in grado di accettare questi presupposti, questo libro sarà in grado di farvi ritrovare il piacere di apprezzare le cose piccole e insignificanti, di sognare ad occhi aperti e di far uscire, almeno per un po', il bambino che è chiuso a chiave in fondo al nostro subconscio. Perché fare i bambini ogni tanto è un nostro sacrosanto diritto.

Veniamo alle note davvero dolenti: questo libro è difficilmente reperibile. Entrambe le edizioni, sia in copertina rigida (come quella che sono riuscito a reperire, edita da Longanesi) che in brossura sono fuori stampa. Ma non disperate: moltissime biblioteche, se decentemente fornite, hanno questo titolo sui loro scaffali o in magazzino, provate a chiedere (non costa nulla). Vista la semplicità del testo, anche leggerlo in inglese è più che fattibile, e questa edizione si trova facilmente online.
Dovrete cercarlo per un po', se vi interessa davvero. Ma cercare un libro fuori commercio rende ancora più gustosa la lettura una volta che lo avrete tra le mani.

In conclusione consiglio a tutti, grandi e piccoli (ma soprattutto ai grandi). Se avete voglia di farvi venire il magone per un'epoca ormai passata e che non tornerà più, se volete passare il vostro tempo immergendovi in una piacevolissima avventura, se volete dimenticarvi per un po' dell'esistenza di tablet, console, cellulari, bollette da pagare e disoccupazione, se volete allontanarvi momentaneamente dalla società moderna che prevede che le bambine indossino tacchi, minigonne e trucco a cinque anni, questo è il libro che fa per voi.
Fatevi il regalo di tornare indietro, a quando tutto era semplice.